Culture has no Borders. È questo il motto delle Invasioni Digitali di quest’anno, l’onda allegra e giocosa che da domani all’8 maggio si abbatterà su moltissimi luoghi della cultura d’Italia. Una dichiarazione che, seppure ispirata dai molti muri eretti recentemente nel mondo, incarna lo spirito stesso delle Invasioni: dal 2013 a oggi, infatti, hanno saputo abbattere le barriere di diffidenza verso i luoghi della cultura e trasformare le visite in esperienze collettive all’insegna della condivisione e del divertimento. E la crescita esponenziale negli anni del numero di ‘invasioni’ e ‘invasori’ lo dimostra: dai 225 eventi del 2013 si è passati ai 410 dell’anno scorso, per un totale di 1500 eventi e 50mila persone coinvolte in quattro anni. E pare che questo sarà l’anno dei record.
Ma come sono nate? Si sono chiamate ‘Invasioni Digitali’ perché in origine – quando il decreto-legge Art Bonus non aveva ancora eliminato i cartelli “No foto” dai musei -invitavano la gente a entrarvi armata smartphone per scattare foto e condividerle sui social network. È stata un’iniziativa coraggiosa che sicuramente ha contribuito a movimentare il sonnolento mondo dei beni culturali. A svegliarlo e svecchiarlo. “Ma c’è ancora moltissimo da fare per far entrare i musei nella vita delle persone, e far capire le potenzialità di internet e dei social media nella promozione del patrimonio culturale”, commenta l’esperta di marketing turistico Marianna Marcucci che le ha ideate assieme al collega Fabrizio Todisco. Per lei questi sono giorni di fuoco, di preparazione frenetica, ma è riuscita ugualmente a fare una chiacchierata con noi di Archeostorie.
Perché le Invasioni Digitali?
Perché ci siamo accorti che, mentre i social network impazzivano, il settore dei beni culturali ne era escluso. Nel 2013 la comunicazione sui social dei luoghi della cultura era ancora solo istituzionale. Mancavano del tutto i cosiddetti UGC, user generated content, i contenuti generati dagli utenti. La gente fruiva dei luoghi della cultura in modo passivo, si annoiava e se ne allontanava sempre più. Con le Invasioni Digitali abbiamo provato a far tornare le persone nei musei facendole partecipare alla promozione attraverso il passaparola digitale. Abbiamo detto a tutti: venite, entrate, visitate, scattate foto, e condividete la vostra esperienza sui social. Raccontate la vostra storia dei luoghi, che è sicuramente diversa da quella istituzionale. Raccontate come li avete vissuti.
Sono sempre state, però, Invasioni pacifiche.
Sì certo. Ogni vista è stata, ed è tuttora, concordata. Attraverso i nostri Ambassador regionali, abbiamo stimolato direttori di musei e aree archeologiche, ma anche semplici cittadini, a organizzare loro stessi l’Invasione. E col passare degli anni la qualità degli eventi è cresciuta. Si sperimentano modi sempre nuovi per coinvolgere le persone: dalle semplici visite guidate siamo passati a eventi più strutturati che presentano il museo o la località in modo inaspettato e creativo come performance teatrali, concerti, giochi, abbinamenti con esperienze gastronomiche. Si racconta sempre più tutto ciò che accade nel museo e non solo quel che si vede. Anche le tecnologie si sono evolute, e dalle foto si è passati ai video o alle ricostruzioni 3D.
Purché siano il frutto di esperienze collettive. Le Invasioni Digitali hanno contribuito a far capire alla gente che un museo non si deve visitare per forza da soli e in silenzio. Si può e si deve andare in gruppo, e ci si può/deve divertire.
Ricordo l’esperienza del primo anno a Perugia, quando abbiamo portato dei bambini al museo armati di macchine fotografiche usa e getta. Hanno scattato foto bellissime ‘ad altezza di bambino’, e si sono divertiti un sacco. Tutti volevano ritornare. Sì, al museo ci si deve divertire. Al posto dei cartelli che dicono cosa non si può fare bisogna metterne altri che dicono cosa invece si può fare. Si può ridere, essere felici. Anche l’uso degli strumenti digitali che noi promuoviamo, non è un uso fine a se stesso ma collettivo e sociale. I nostri invasori non si astraggono dal mondo esterno, ma anzi lo vivono doppiamente condividendo la loro esperienza sui social.
Anche l’icona degli Space Invaders, diventata oramai vostra, è all’insegna del divertimento e del gioco. Come l’avete adottata?
Il primo anno un po’ per caso. Così in autunno, quando siamo stati invitati a Marsiglia al congresso internazionale sulla Digital Heritage, li abbiamo portati e mostrati a tutti proprio per sottolineare la dimensione giocosa delle nostre Invasioni Digitali. E da allora non ci hanno più abbandonato, sono il nostro simbolo assieme alla foto collettiva col cartello che dice “Invasione compiuta”, un’altra forma di gioco.
Come si è evoluto il pubblico nel tempo?
Il primo anno gli Invasori sono stati prevalentemente persone del nostro network, gente che si occupava di turismo e cultura e usava i social. Ma il giro si è allargato molto presto. I giornali locali pubblicizzano molto le Invasioni, e così le frequenta anche chi non ha dimestichezza con la tecnologia, ma solo tanta curiosità. E tutti sono benvenuti. In più, negli anni siamo giunti anche oltreconfine e ora si organizzano Invasioni in Francia, Bosnia, Slovenia, Polonia, Irlanda, Germania, Stati Uniti, Australia, Brasile.
Come vi finanziate?
Tutto il lavoro fatto per le Invasioni Digitali, sia quello nostro che quello degli Ambassador e degli organizzatori, è a titolo gratuito. L’unica spesa consistente è per la realizzazione del sito web che, vista la mole di eventi, è assai complesso. Nell’autunno 2013 abbiamo fondato un’Associazione culturale attraverso la quale organizziamo eventi e offriamo collaborazioni a vario titolo con aziende, e col ricavato manteniamo il sito web.
Quali le aspettative per questa quinta edizione?
Una sempre maggiore consapevolezza, nel mondo dei beni culturali, del valore delle attività di valorizzazione e promozione. E della necessità che vengano affidate a professionisti. Dal 2013 a oggi i cambiamenti sono stati molti e radicali, ma dobbiamo continuare a insistere, specialmente sul riconoscimento delle figure professionali che si dedicano a ciò. Però c’è un altro aspetto che mi preme evidenziare, e che è strettamente legato al nostro motto Culture has no borders. Bisogna abbattere non solo i muri tra cultura e cittadini, o tra passato e presente, ma anche quelli tra le istituzioni culturali e favorire la collaborazione. Se un museo fa qualcosa di buono, gli altri devono emularlo e magari anche inventarsi qualcosa di più. Nella promozione della cultura non ci può essere competizione perché si lavora tutti per lo stesso fine, e cioè renderla libera, aperta e accogliente. Si deve dunque innescare un meccanismo di competizione virtuosa.
Tutti pronti, quindi, a invadere la cultura anche quest’anno! Un’occhiata alla mappa per fare la vostra scelta, la registrazione, e si parte! E chi la mattina del 6 maggio prossimo si trovasse dalle parti di Populonia, non si perda la visita a PArCo, il Parco di archeologia condivisa che Archeostorie e Past in Progress stanno realizzando nell’area della villa romana di Poggio del Molino. Sarà archeologia di tutti e per tutti: condivisione e divertimento in pieno spirito delle Invasioni digitali. Che poi è anche lo spirito di Archeostorie.
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