Le Invasioni digitali sono giunte quest’anno alla quarta edizione, e sono ormai un appuntamento fisso della primavera italiana. Sono nate nel 2013 da un’idea e un desiderio: Fabrizio Todisco il fondatore, e Marianna Marcucci, co-founder, volevano diffondere la conoscenza del patrimonio culturale italiano, aprendo ai cittadini i luoghi meno noti e soprattutto meno accessibili. Ma soprattutto, avevano l’obiettivo di di condividere e diffondere la conoscenza dei luoghi della cultura attraverso il web, e in particolare i social network.
Le invasioni si proposero da subito come un movimento di valorizzazione del patrimonio culturale “dal basso”.Oggi sono una realtà importante nel panorama italiano della valorizzazione e comunicazione del patrimonio attraverso il web 2.0 e i social. Anche il Rapporto Civita 2016 dedicato a #Socialmuseums. Social media e cultura fra post e tweet ha dato spazio alla case history di Invasioni digitali, in quanto fenomeno importante di comunicazione attraverso i socialmedia. I caratteri principali sono rimasti inalterati nel tempo ma, rispetto al primo anno, sempre più istituzioni culturali pubbliche hanno avviato collaborazioni con i digital ambassadors, cioè coloro che sul territorio si occupano dell’organizzazione pratica, facendosi a volte essi stessi promotori delle Invasioni. È quanto è avvenuto in Liguria, dove la Soprintendenza archeologia ha promosso e sostenuto una serie di Invasioni coordinandosi con i digital ambassadors locali.
Le invasioni digitali in Liguria
Già l’anno scorso, edizione 2015, era avvenuto il primo contatto tra la digital ambassador della Liguria di Levante, Angela Tanania, e la Soprintendenza archeologia della Liguria, con un’invasione programmata al Parco archeologico di Luni, uno dei siti più importanti della Liguria, già al centro, tra l’altro, di una serie di interventi di valorizzazione. Quest’anno il sodalizio non solo si è ripetuto con una nuova invasione a Luni, ma si è moltiplicato. Bello il testo di presentazione dell’invasione 2016 di Luni: “Condurre l’invasore in un percorso archeologico significa guidarlo verso una narrazione fatta di soli resti ma allo stesso tempo capaci di comporre immagini del passato. Il racconto e la comprensione del sito creano rapporti visivi e spaziali e amplificano il valore della sua preziosa fragilità”.
Con questo stesso spirito Neva Chiarenza, funzionario della Soprintendenza archeologica della Liguria, ha voluto organizzare invasioni in diversi siti archeologici del Levante: la necropoli di Cafaggio ad Ameglia, la villa romana di Bocca di Magra, il castello di Godano a Sesta Godano, il castello della Brina in località Torraccio a Sarzana, mentre il Museo Archeominerario di Castiglione Chiavarese ha organizzato due invasioni/visite alla miniera di rame più antica dell’Europa Occidentale; nel Ponente è stato invaso invece il santuario di N.S. della Rovere e il sito archeologico del Lucus Bormani, mansio romana lungo la via Julia Augusta a San Bartolomeo al Mare (IM). Con l’eccezione di Luni, parco archeologico statale tra i più visitati della Regione, la necropoli di Ameglia è visitabile su prenotazione, mentre la villa romana di Bocca di Magra e il sito del Lucus Bormani non sono visitabili. Ecco che allora le Invasioni Digitali diventano davvero l’occasione per spalancare cancelli altrimenti sempre chiusi.
Invasioni digitali: cosa serve
La macchina messa in moto dalle Invasioni non è cosa di poco conto; non si improvvisa un’invasione, che è frutto di una pianificazione e una concertazione, a maggior ragione se sono coinvolti enti pubblici preposti alla tutela del patrimonio. Mi spiega la digital ambassador Angela Tanania che le Invasioni 2016 sono state calendarizzate fin da gennaio. A livello burocratico, tutte le istituzioni coinvolte hanno voluto che fosse formalizzata una richiesta, dopodiché hanno dato la propria adesione. Le parole usate sul documento ufficiale diramato dalla Soprintendenza per giustificare la gratuità, altra caratteristica che contraddistingue le Invasioni, parlano di un “evento che amplifica la valorizzazione e la ricerca”: esattamente l’ottica nella quale le Invasioni vanno lette.
A ulteriore riprova dell’investimento fatto dalla Soprintendenza archeologia della Liguria, il soprintendente stesso, Vincenzo Tiné, è stato ad Ameglia e a Bocca di Magra. La sua presenza, così come l’impegno stesso della Soprintendenza è un fatto non scontato, tanto più in un momento come questo di forte crisi e instabilità degli uffici periferici del Mibact: la riforma del Ministero vede nel futuro l’esistenza di Soprintendenze territoriali e non più di settore, sotto il controllo delle Prefetture; in un momento in cui pare che le Soprintendenze archeologia andranno a scomparire, vedere invece una soprintendenza che si attiva nei confronti del pubblico e della cittadinanza non può che essere una risposta positiva.
Naturalmente le Invasioni organizzate dalla Soprintendenza archeologia non sono state le uniche in Liguria. Un programma piuttosto corposo ha interessato l’intera regione da Levante a Ponente, e la Soprintendenza archeologia ha saputo inserirsi in una macchina ben oliata, accompagnata dalla necessaria copertura mediatica. L’Agenzia regionale Liguria ha diramato un comunicato, e a questo si è sommato il lavoro di copertura social dei canali delle Invasioni Digitali e, per le invasioni di propria pertinenza, della Soprintendenza archeologia.
Quanto alla risposta del pubblico in termini di partecipazione, i risultati delle Invasioni si calcolano in tre diversi momenti, sia a livello nazionale che locale: il numero di invasioni organizzate, il numero degli invasori (tenendo conto però che molte invasioni sono a numero chiuso) e la copertura social, dato che il fine ultimo è creare conoscenza condivisa attraverso i social. L’invasore, mi dice ancora Angela Tanania, è un individuo cosciente di ciò che sta facendo, che comprende il senso del racconto attraverso i social e che vuole contribuire a scriverlo, questo racconto.
I partecipanti sono un esercito quantomai eterogeneo: all’invasione di Ameglia, per esempio, ha partecipato la classe 2A della locale scuola media che ha aderito così al progetto didattico “Piccole Guide”. In ogni invasione, poi, non è mancato l’appoggio social delle associazioni culturali locali, come Wepesto alla Rovere, LiguriaInside, il CAI di Sarzana all’invasione della Brina, e i gruppi di Instagramers locali, in particolare di Massa Carrara e di La Spezia: instagram è insieme a twitter il social media più sfruttato per raccontare le Invasioni.
Scorrendo i tweet, resoconti in tempo reale, guardando le foto, seguendo gli hashtag dedicati (ogni invasione ha il suo specifico, oltre al generico #invasionidigitali) si legge lo stupore, la sorpresa per la scoperta di qualcosa di nuovo, anzi d’antico, sul proprio territorio, e la voglia di condivisione. Le foto pubblicate raccontano proprio questa scoperta collettiva, il desiderio di ricordarla e di raccontarla. Ogni invasione si conclude con la foto di gruppo: e niente come i volti sorridenti degli Invasori riassume la soddisfazione per aver partecipato a un evento eccezionale.
Le Invasioni digitali sono dunque una festa. Ed è un segnale positivo la volontà di partecipazione a questa festa di un organismo statale, un ente pubblico cui la recente riforma ha ridimensionato le funzioni di valorizzazione puntando l’accento sulla mera tutela. Ma se distinguere tutela da valorizzazione è facile, forse, sulla carta, lo è senz’altro meno all’atto pratico. La tutela da sola, fine a se stessa, serve a poco se non è finalizzata alla restituzione al pubblico del patrimonio: ecco lo spirito nel quale si è mossa la Soprintendenza archeologia della Liguria e che ha portato i suoi funzionari a sostenere, promuovere e organizzare le Invasioni digitali.
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