“Il tavolo Comunicazione è il più affollato” mi dicono dalla segreteria di Icom Italia. “Eh, lo sapevo – rispondo io – ci sono abituata”. Perché non è la prima volta che in un convegno di professionisti dell’archeologia o dei musei, la comunicazione spopoli tra i tavoli tematici. Il 9 e 10 marzo scorsi, Icom Italia ci ha riuniti tutti al Museo archeologico di Napoli per discutere di Musei archeologici e paesaggi culturali. Per meglio delineare il rapporto tra il museo archeologico e il suo territorio di riferimento, e far sì che il museo diventi centro propulsore della tutela e di una gestione sostenibile del territorio stesso. Gli altri tavoli affrontavano temi ugualmente fondanti della vita di un museo: la ricerca, la salvaguardia, la gestione. Ma oggi, signori miei, ‘va di moda’ la comunicazione.
Il museo come luogo del comunicare
E finalmente! Perché, come sostengo da tempo, il museo è un ‘luogo del comunicare’, non dissimile per certi aspetti da altri ‘luoghi’ come il cinema, il teatro, la pubblicità. Così lo intendeva già nell’Ottocento Antonino Salinas, per quarant’anni direttore del Museo nazionale di Palermo (e a cui nel 1995 il museo è stato intitolato), che nel 1873 scriveva: “Secondo il mio concetto il museo ha da essere scuola; se ne vogliono far un carcere di monumenti, allora comprino chiavistelli e chiamino un buon carceriere”.
Il museo, dunque, conserva sì i resti materiali del passato e promuove la ricerca a partire da quegli oggetti, ma lo fa per condividere materiali e ricerca con i cittadini tutti. Senza materiali e ricerca verrebbe a mancare l’oggetto della comunicazione, però è quest’ultima la vera ragione d’essere del museo. Diversamente sarebbe un deposito, un centro di ricerca o come altro lo si voglia chiamare. Il museo, invece, è una struttura al servizio della società per garantire un accesso libero di tutti i cittadini ai beni culturali e alla conoscenza.
Oggi la comunicazione sa far ‘toccare con mano’ i resti del passato, far provare quell’‘emozione del passato’ – e della ricerca sul passato – che sola ne trasmette il valore. Generando quel processo che dall’emozione passa per la comprensione e il rispetto, giungendo alla tutela. Perché si tutela il passato solo se lo si vive, se entra a far parte della nostra vita quotidiana. Chiunque partecipa della vita del museo, poi lo sentirà anche un po’ suo, e saprà al contempo leggere e apprezzare le tracce del tempo nel territorio di cui il museo narra la storia. Perché avrà capito che il museo non è un luogo chiuso in se stesso ma un centro aperto del sapere, una piazza dove costruire assieme gli strumenti per conoscere sempre meglio il mondo in cui viviamo.
Compiti e finalità della comunicazione museale
È però necessario chiarire bene cosa intendiamo, oggi nel XXI secolo, per comunicazione museale. Troppo spesso si parla solo di come deve essere realizzata questa comunicazione, prendendosela con la povera ‘fistula plumbea’ che non si sa cos’abbia fatto di male al mondo, e pigliando in causa i pannelli con lunghi testi a corpo 2 che, a onor del vero, dilagano ancora nei nostri musei.
Ma perché accade ciò? Perché c’è così tanta disparità tra esperienze di comunicazione all’avanguardia, che fanno un uso intelligente delle tecnologie finalizzandole a una strategia comunicativa precisa, e altre ancorate a canoni oramai superati? Perché non c’è sistema? A mio avviso, perché non si è ancora chiarito bene il ruolo della comunicazione nel museo: non le sue finalità e le attività che coinvolge, e soprattutto le competenze che il professionista della comunicazione museale deve avere.
Nel tavolo che ho coordinato (dove assieme a me, sono stati coinvolti come speaker anche Maurizio Di Puolo, Sandro Garrubbo, Anna Marras, Marxiano Melotti, Valentino Nizzo, Fabio Pagano, Marcello Ravveduto) ho proposto di concentrarci proprio su questi aspetti, più che sul resto. E con mia grande sorpresa c’è stato tra tutti i partecipanti, e pur nella vivacità del dibattito, un singolare accordo. Innanzitutto, accordo sulle finalità della comunicazione museale, e cioè che il museo deve comunicare un proprio ‘messaggio’, la propria ‘missione’, oltre ai propri oggetti, alla ricerca che produce su di essi, alla vita interna al museo, e al valore dell’interculturalità che in ogni museo di storia è connaturata.
I luoghi della comunicazione museale
C’è stato accordo anche sulle attività della comunicazione museale, e cioè tutto ciò che il museo fa per coinvolgere i cittadini nella scoperta dei propri oggetti, del loro territorio e della loro storia. La comunicazione è dunque connaturata a tutte le attività del museo, anche se solo in alcune di esse – come l’allestimento museale, i cosiddetti ‘servizi educativi’ e ogni tipo di ‘comunicazione esterna’, dal classico ufficio stampa a chi cura sito web e social media – svolge un ruolo preponderante.
Tutto il personale del museo, quindi, nessuno escluso, è teso a veicolare il ‘messaggio’ del museo e a creare attorno al museo una comunità, che al giorno d’oggi è ovviamente sia online che offline. Di conseguenza serve un coordinamento, una comunicazione interna tra i comunicatori e tra tutte le professioni museali, per dar vita a una progettazione e a strategie sinergiche e condivise.
Compito primo del comunicatore deve essere tale coordinamento, la costruzione di un gioco di squadra che gli consentirà poi di mettere in campo le strategie migliori per far dialogare il museo con i cittadini.
Competenze del comunicatore museale
A chi affidare questi ruoli così delicati di comunicazione museale? Al giorno d’oggi c’è ancora troppa improvvisazione: l’accordo su questo punto di tutti i partecipanti al tavolo è parlante. Come pure la richiesta di verificare quali competenze possiedono oggi i comunicatori nei musei, e quella di stabilire dei criteri per ‘certificare’ le competenze di comunicazione museale di ciascuno.
Abbiamo insomma bisogno urgente di esperti della comunicazione museale. Esperti veri che conoscano bene la materia di cui il museo tratta, abbiano capacità di dialogo con i suoi curatori ed esperti, e abbiano una conoscenza precisa dei principi, dei linguaggi e dei metodi della comunicazione e del marketing. Professionisti capaci di garantire sistematicità e continuità alle buone pratiche già esistenti.
Che fare, dunque? Io un’idea ce l’avrei, e qui chiudo il mio ruolo di coordinatore del tavolo sulla comunicazione al convegno Icom Italia di Napoli, per avanzare la mia personale proposta.
Gli scienziati lo fanno già
In un articolo apparso sul Giornale delle Fondazioni di febbraio 2018 (Musei. Le nuove frontiere), la presidente del Museo Marini Marini di Firenze Patrizia Asproni rileva come a livello mondiale il numero dei visitatori dei musei di arte e storia sia in netto calo, a fronte di un notevole successo dei musei scientifici. Secondo Asproni, tale successo è dovuto proprio alla capacità dei musei scientifici di rispondere alle esigenze della società odierna.
Una società sempre più multiculturale e dunque formata da persone che non condividono gli stessi codici; dove il museo è sempre più in concorrenza con altri modi di impiego del tempo libero; formata da persone con un livello di alfabetizzazione digitale sempre più elevato, che perciò esigono anche dal museo una qualità dei servizi e un utilizzo maturo e complesso delle tecnologie. I musei scientifici, dice Asproni, sanno parlare questi linguaggi penetrando così nel vissuto personale della gente, e facendo dunque del museo un luogo dove si comprende di appartenere a una storia lunga, e dove il passato sa fornire strumenti per decodificare il presente e possibilmente anche il futuro.
Nelle sintetiche e puntuali parole di Asproni, ho riscontrato esattamente quel che io vado dicendo e scrivendo da anni. Compreso il riferimento ai musei scientifici che a mio avviso funzionano bene perché da tempo oramai si avvalgono dell’opera di esperti formati nelle molte e ottime scuole di comunicazione della scienza, veri interpreti della complessità dei rapporti tra ricerca scientifica e cittadini.
Perché dunque non far nascere delle scuole di comunicazione dei beni culturali sull’esempio di quelle di comunicazione della scienza? Luoghi dove il mondo della comunicazione e quello dei beni culturali si integrino per davvero e non solo sulla carta, e non solo in nome della tecnologia o del digitale. Così da creare professionisti ‘trasversali’ pronti a dialogare con gli esperti del museo, ma anche con altri professionisti che li aiutino nel difficile compito di coordinatori della comunità museale: psicologi, antropologi e sociologi capaci di meglio comprendere le esigenze dei cittadini; economisti in grado di ottimizzare le attività; statistici che sappiano valutare l’impatto del museo sulla società; architetti, tecnici delle luci, esperti di realtà virtuale e aumentata, e tutte le competenze necessarie per costruire un allestimento museale efficace; e attori e musicisti e chiunque altro possa dare un contributo concreto.
Le scuole non sono sicuramente l’unica soluzione, ma sono forse oggi un passo imprescindibile. Perché, oggi più che mai, servono luoghi di ricerca e costruzione di un nuovo sapere commisurato a una società nuova. Luoghi di ibridazione di saperi e creatività, di sperimentazione con lo sguardo volto sia al passato che al futuro. Perché il museo, vero microcosmo specchio del più grande cosmo, deve saper usare il passato per immaginare il futuro.
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