Narratori della storia fatevi avanti! L’occasione è ghiotta: siete invitati a immaginare le origini di Venezia e delle isole abitate della laguna tutta. Un bell’argomento, vero? Intrigante, coinvolgente. Anche perché chi ha inventato la prima storia, l’ha inventata così bene che tutti la credono vera.
Le origini di Venezia: un’operazione di marketing
“Ariva i barbari”, per usare le parole del cantautore Alberto D’Amico. Venezia sarebbe stata fondata nella tarda antichità da chi abitava ai margini della laguna, in particolare dagli abitanti della città romana di Altino, ma anche delle città vicine di Este, Padova, Oderzo, Concordia. Tutti in fuga dalle orde di barbari scesi dal nord per invadere la nostra penisola. Tutti giunti in laguna da un giorno all’altro, in un territorio sconosciuto, senza sapere neppure dove ripararsi la notte.
È stata una delle più grandi operazioni di marketing di tutti i tempi. Dopotutto, una grande città doveva costruirsi origini leggendarie: una nascita dal nulla grazie alla solidarietà e all’ingegno di tutti; una grandiosa opera collettiva che ha saputo dar vita a un agglomerato urbano sul terreno più fragile e instabile che c’è, tra terra e acqua. Un sogno democratico, un’eccezione nei secoli bui dominati da padroni e coloni. Così eccezionale da non poter essere vero.
Ma allora chi spinse davvero gli abitanti della terraferma verso la laguna? I Goti? Attila? I Longobardi? Possiamo dire anche i marziani perché tanto non si sa. E se invece fosse stato un bisogno? E come si organizzarono davvero una volta giunti in laguna? Chi costruì davvero Venezia? E come la costruì?
Le origini di Venezia: nuove storie
Ecco la sfida lanciata ai narratori dagli archeologi del progetto “Torcello abitata“, diretti da Diego Calaon dell’Università Ca’ Foscari di Venezia. Immaginate altre origini di Venezia, magari ancora più fantastiche (o più verosimili) di quel che si sa già. E poi venite a Torcello il 14 ottobre a declamare la vostra storia seduti sul cosiddetto “trono di Attila” (che di Attila proprio non è, però è un gran trono). E a giudicarvi e premiarvi ci sarà, tra gli altri, il poeta e performer della laguna (e non solo) Tiziano Scarpa.
Se poi non riuscite per quel giorno a raggiungere Torcello, leggeranno i vostri scritti i ragazzi di Rugagiuffa, webserie che da tre anni racconta la “Venezia abitata”, la vita quotidiana dei veneziani al di là degli stereotipi, e oltre l’immagine di una città trasformata in parco a tema. Insomma raccontano che c’è anche vita vera a Venezia oggi. Proprio come gli archeologi di “Torcello abitata” indagano la vita vera di un millennio e mezzo fa.
La storia vera
Perché a Torcello? Semplice. Perché la ricerca storica e archeologica dice che in realtà la laguna non è mai stata terra incognita: è sempre stata abitata. C’erano orti, frutteti, vigneti, peschiere, capanni da pesca, saline, piccoli insediamenti. Dal VI secolo in poi, però, si è cominciato a costruire strutture più stabili, e non solo perché la terraferma era infida. Era anche impraticabile perché le strade romane non esistevano più.
Chi dunque, come le genti venete, aveva il commercio nel sangue perché aveva fatto da tramite tra il Mediterraneo orientale e l’Europa del nord sin dall’epoca micenea, doveva per forza percorrere le vie più battute del tempo, le vie d’acqua. Però la laguna a quei tempi stava subendo profondi mutamenti, e molte sue rive si interravano progressivamente, anche a causa dei detriti portati dai fiumi. Per commerciare, dunque, si dovettero spostare i porti sempre più in là, nella laguna. Altino non poteva più usare il proprio porto e l’ha spostato in prossimità di quella che allora era la foce del fiume Sile, cioè a Torcello.
Infatti i nostri archeologi -che scavano a Torcello dal 2013– hanno portato alla luce banchine portuali, arsenali, magazzini, officine e abitazioni. Resti di ogni epoca ma soprattutto di quell’arco di tempo tra il VI e l’VIII secolo quando Torcello è stato il centro più importante di una laguna che si andava popolando sempre più. Prima quindi che nel IX secolo s’imponesse il centro di Rivoalto, cuore di Venezia.
Stanno venendo alla luce resti di abitazioni e altri edifici in legno perché all’epoca le costruzioni erano prevalentemente in legno. Venezia non nacque subito di mattoni e pietre. I materiali importanti erano solo per gli edifici principali e venivano portati da Altino, che invece si andava spegnendo. Altino fu la “cava di pietre” per le costruzioni in laguna. Per secoli. E servì tanta manodopera per costruire in laguna e governare la laguna. Ecco sfatato un altro mito: Venezia non fu mai, neppure nelle sue più lontane origini, una società di eguali.
Quindi l’archeologia sta portando alla luce le prove che Torcello non è mai stata “solo una chiesa” com’è oggi, ma che attorno alla chiesa c’erano vita, attività, commerci. Quella vita e quei commerci che sono le vere origini della potenza di Venezia. Non è un lavoro facile e solo un articolato sistema di pompe idrovore consente agli archeologi di scavare. E l’indagine “nel fango” richiede expertise particolari e affinate tecnologie. E terminato lo scavo non si può che interrare.
Vera archeologia pubblica
Anche per questo -perché lo scavo è un’occasione unica e irripetibile di toccare con mano le origini della città lagunare– il progetto “Torcello abitata” è aperto ai cittadini tutti. Tutti, in giorni stabiliti secondo un programma molto ricco, possono entrare nell’area di scavo e dialogare con gli archeologi al lavoro. Oppure partecipare a uno dei molti aperitivi archeologici dove alla visita allo scavo si unisce una chiacchierata su temi legati a Venezia e all’archeologia, il tutto con un bicchiere di vino in mano.
Anche noi di Archeostorie siamo andati a Torcello giorni fa a raccontare il nostro progetto di condivisione dell’archeologia con i cittadini attraverso lo strumento potentissimo della narrazione. Abbiamo parlato del nostro ultimo libro Racconti da museo e ci è piaciuto molto discutere con Calaon e compagni che di narrazione dell’archeologia se ne intendono davvero. Il tutto di fronte a un pubblico affezionato e attento, quasi una grande famiglia.
Una comunità
Perché questo ha saputo fare Calaon a Torcello: in un luogo difficile da raggiungere (praticamente un viaggio), situato ai limiti di una Venezia iperturisticizzata, e che vanta a oggi tredici abitanti, ha saputo -con la sua grazia e la sua eleganza, unite a grinta, fermezza e organizzazione- creare attorno allo scavo una vera comunità. Una comunità d’oggi che si nutre della storia di ieri e delle proprie origini. Anche grazie alla bellezza del luogo, è vero, ma non era scontato. Chapeau.
Quindi se potete precipitatevi ai prossimi incontri e alle prossime visite guidate. E pensate e scrivete la vostra storia veneziana che il trono di Attila vi attende.
Tra passato e presente, leggenda e poesia di Venezia stupiscono sempre. Regalateci il vostro stupore.
0 commenti
Trackback/Pingback