Corsa contro il tempo per il Museo della lingua italiana

16 Settembre 2020
Il Museo della lingua italiana aprirà i battenti il 25 marzo prossimo. Intervista a Luca Serianni, coordinatore della commissione scientifica

Il governo ha deciso nell’agosto scorso e i tempi sono strettissimi: il Museo della lingua italiana si farà – sono stati stanziati 4,5 milioni di euro – e dovrà aprire i battenti il 25 marzo prossimo, cioè nel Dantedì dell’anno in cui si celebrano i 700 anni dalla morte del poeta. La commissione scientifica per la realizzazione del museo, designata dal ministro Franceschini, si è riunita giovedì scorso per la prima volta dopo il lockdown.

È coordinata da Luca Serianni, professore emerito di Storia della lingua italiana alla Sapienza, socio dell’Accademia della Crusca e dell’Accademia dei Lincei, vicedirettore della Società Dante Alighieri, membro del consiglio scientifico della Treccani e membro fondatore dell’Asli (Associazione per la Storia della lingua italiana). Lo abbiamo intervistato.

Da dove nasce il progetto di un museo della lingua italiana?

Il museo nasce come esito di una serie di iniziative, la più antica delle quali risale al 2003: la mostra sulla lingua italiana Dove il sì suona, allestita alle Gallerie degli Uffizi a Firenze su iniziativa della Società Dante Alighieri. A questa ne sono seguite altre, la più recente della quali è stata lanciata dal mio allievo e collega Giuseppe Antonelli che ha scritto due anni fa un libro intitolato proprio Il museo della lingua italiana.

Quali sono le finalità precise del museo?

Testimoniare la continuità dell’italiano dall’epoca di Dante a oggi, e naturalmente anche le notevoli differenze, le variazioni, gli arricchimenti che ci sono stati, come avviene per ogni lingua viva. Assicurare la coscienza della continuità della lingua, soprattutto attraverso i testi letterari, ma anche valutare l’uso dell’italiano all’estero, ieri e oggi. Oggi c’è la Società Dante Alighieri a insegnare italiano all’estero, ed è molto ramificata nel mondo, mentre in passato i paladini della nostra lingua erano i grandi italianizzanti, da Voltaire a Mozart. La musica è stata ed è un grande veicolo di conoscenza della nostra lingua. Caso meno noto è invece quello della regina Elisabetta I che scriveva in italiano ad alcuni suoi corrispondenti. Alla sua epoca l’italiano era ancora una lingua di cultura largamente praticata, persino dai sovrani. Ecco, questi sono tutti elementi che è utile far conoscere.

Come mettere in mostra una lingua e dar corpo al linguaggio, che è materia astratta?

Ovviamente ci saranno elementi fattuali – oggetti, manoscritti – ma sarà soprattutto un museo multimediale. Non sarebbe infatti possibile presentare, per esempio, i codici di poesia antica che sono gelosamente custoditi dalle biblioteche di appartenenza. Bisogna poi mettere in evidenza tutte le parti immateriali della lingua, far sentire il parlato. Io vedrei bene una sala in cui si sentono diversi accenti regionali e il visitatore è invitato a riconoscere la provenienza, cosa che può essere molto facile in alcuni casi e meno in altri. È un modo per far conoscere o comunque far circolare le diverse realizzazioni orali di una stessa lingua. Il museo prenderà anche in considerazione le realtà più recenti, come il cinema e la canzone italiana che ha avuto un’importanza notevole nello sviluppo della lingua, in particolare nel Novecento. Tutto questo si presta molto a essere rappresentato in termini multimediali.

Luca Serianni

Luca Serianni

Come saranno strutturate le sale del museo?

Il tempo a nostra disposizione è molto poco: il 25 marzo è vicinissimo. La sede del museo sarà l’ex monastero di Santa Maria Novella, una zona non solo monumentale, ma anche centrale di Firenze. Sarà dunque facilmente fruibile da tutti.

Per prima cosa, occorre che il Comune di Firenze, che è l’amministratore del Museo, faccia dei calcoli e dei lavori di adattamento dei locali designati, come la creazione di vie di fuga e tutte le necessarie procedure perché un museo sia agibile e visitabile.

Per quanto riguarda invece il percorso museale, l’idea maturata nell’ultima riunione del comitato è quella di partire da Dante, tenendo conto che Dante può essere presentato come l’intersezione di altri due aspetti: i dialetti e il tema dell’italiano all’estero. Da un lato, infatti, nel De vulgari eloquentia dà per la prima volta una rappresentazione dell’Italia dialettale, sia pure per parlare male di tutti i dialetti, compresi quelli toscani. Dall’altro, la Commedia è l’opera in assoluto più tradotta all’estero. So che recentemente è stata realizzata anche una traduzione in indonesiano, che mancava.

Dal progetto iniziale del 2003, ci sono stati dei cambiamenti forti a livello sociale che hanno avuto un impatto anche sulla lingua. Pensiamo per esempio ai temi di genere. Se ne terrà conto nel museo?

Certamente. I temi di genere sono particolarmente attuali ed è dunque giusto quantomeno illustrare la situazione. Osservare, cioè, che ci sono delle parole che possono tranquillamente essere declinate al femminile come ‘ministra’ o ‘ingegnera’. Se una parte delle persone è ancora perplessa è solo perché non è ancora sufficientemente abituata a questo femminile professionale, come avviene, senza che nessuno si meravigli, per ‘dottoressa’ o ‘professoressa’.

Naturalmente, bisogna considerare anche la sensibilità delle professioniste che svolgono le professioni in questione. Io posso ben dire, da linguista, che il termine ‘avvocata’ andrebbe benissimo, e tuttavia, se le donne che svolgono la professione di avvocato non gradiscono essere chiamate così, non si può imporre loro questa scelta. Quindi nella lingua non c’è mai la regola astratta, c’è invece il collocare questa regola in una particolare dimensione sociolinguistica, tenendo conto della sensibilità dei parlanti.

Per quale motivo è importante che tutti conoscano bene la propria lingua, sia come persone che come cittadini?

È un problema di identità. Ciascuno di noi è legato a una propria identità, che è quella familiare, oltre che personale. L’appartenenza a una comunità si esprime attraverso una serie di valori comuni, ma il valore fondamentale è quello della lingua, perché è pervasivo.

Un aspetto che non c’entra col museo, ma che mi fa piacere sottolineare, è l’importanza di insistere sulla conoscenza della lingua proprio ai fini dell’integrazione di quelli che vengono chiamati ‘nuovi italiani’. Perché la lingua è l’elemento più democratico, più rispettoso dell’alterità delle persone e che al contempo garantisce l’accoglienza, l’inserimento nella società di arrivo.

Il museo potrebbe avere dunque anche un ruolo sociale e politico?

Certo, è quello che mi auguro. Sarà un museo dal carattere particolarmente interattivo, non solo un museo di conservazione. In un museo come quello della lingua italiana non si va per ammirare opere d’arte, ma piuttosto per entrare in un percorso, in un discorso che mette in gioco tanti aspetti.

Un aspetto importante è quello della civiltà enogastronomica. Pensiamo ai vari nomi di piatti, ma anche alla possibilità di organizzare dei punti di degustazione, magari non già all’inaugurazione ma in seguito. Secondo me è un elemento importante perché una popolazione si esprime anche attraverso una determinata civiltà alimentare.

A chi si rivolgerà il museo?

Un museo del genere aspira a rivolgersi a un pubblico differenziato, anche straniero. Pensiamo a Firenze e alla circolazione turistica che riprenderà nella città, una volta superata la pandemia. Una particolare attenzione sarà prestata alle scolaresche, e questo lo dico sulla base dell’esperienza della mostra Dove il sì suona dove c’erano molte scolaresche incuriosite dai giochi informatici sulla lingua che già allora avevamo previsto. Dal 2003 a oggi naturalmente queste procedure sono estremamente avanzate e quindi, con la consulenza di informatici, potremo pensare a rappresentazioni abbastanza varie, complesse e divertenti dei fenomeni linguistici.

Saranno organizzate attività, come ad esempio servizi educativi e conferenze, per rendere vivo il museo?

Certo, ma a questo non abbiamo ancora pensato. Del resto, se siamo ancora nella fase di rendere agibile la struttura, forse è un po’ presto. Ma certamente queste sono componenti assolutamente previste per un buon funzionamento di qualsiasi museo.

Qual è il messaggio che il museo vuole trasmettere ai visitatori?

Mi piacerebbe che il visitatore portasse a casa l’orgoglio per la propria lingua. Agli italiani manca una consapevolezza del significato della propria lingua e credo che sia un dato positivo da acquisire. L’altro elemento è, certo, un po’ di senso storico. Perché per tutta la parte storica entrano in gioco tanti aspetti che non riguardano solo la lingua. Pensiamo all’importanza dei banchieri nella Firenze medievale e al fatto che, oltre a rendere Firenze una grande potenza economica, hanno diffuso il modello del fiorentino in varie parti d’Italia e d’Europa. E poi pensiamo ai rapporti tra lingua e musica, all’opera lirica e alla sua importanza. Ci sono quindi tanti aspetti di carattere storico e letterario che il visitatore può scoprire o ritrovare.

Di cosa ha bisogno l’italiano oggi?

Ha bisogno di studio a scuola, perché la scuola è forse l’ultima occasione che un giovane cittadino ha di entrare in contatto con la grande tradizione letteraria, attraverso la lettura diretta dei testi, certamente mediata dall’insegnante e dalle note dell’antologia, ma soprattutto avvertita come patrimonio proprio. La sensazione che ho è che questo contatto con il testo classico, intendo della letteratura italiana codificata, si stia un po’ perdendo. Amici insegnanti mi dicono che oggi anche la comprensione dei Promessi sposi è spesso difficile per un quindicenne. Ecco, non stiamo parlando di Petrarca o di Tasso, ma di un testo che Manzoni scrive in una lingua molto moderna per l’epoca, ma che è già diventata un po’ lontana, un po’ difficile per i ragazzi d’oggi.

Bisogna mantenere il contatto con la lingua scritta, che non è solo quella di Dante, ma anche quella che oggi per esempio si usa in un trattato di diritto civile.  È importante che si mantenga questa componente perché la competenza piena, stratificata della lingua madre è il mezzo per entrare in tutti gli altri saperi, persino quelli più tecnici e codificati.

E questo museo può essere un mezzo per rimanere in contatto con la lingua o per ravvivare questo sentimento della lingua?

Certo, me lo auguro.

Autore

  • Giulia Tommasi

    Scrittura, filologia e comunicazione sono le passioni che animano le sue giornate. Al confine tra il mondo antico e il moderno, alla ricerca di ciò che caratterizza l’uomo al di là del tempo e dello spazio. Nelle pagine dei maestri del passato trova le risposte alle sue domande più profonde, e nella tecnologia coglie l’opportunità di condividerle. Mentre è iscritta al corso di laurea magistrale in Filologia classica all’università La Sapienza, approfondisce la sua conoscenza della comunicazione e del marketing digitale. Collabora con magazine online e quotidiani.

Condividi l’articolo sui social

Lascia un commento

0 commenti

Invia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *