Sapete già come e dove festeggiare il Capodanno? Vi siete organizzati con la famiglia o con gli amici per trascorrere questa bella festa in compagnia?
Noi della redazione di Archeostorie abbiamo almeno una certezza: ci piacerebbe, prima o poi, brindare all’anno nuovo con un buon vino versato in una coppa diatreta, oggetto considerato tra più lussuosi della tarda antichità.
Cos’è una diatreta
Il nome diatreta deriva dal greco diàtretos, e significa ‘perforato’: indica la lavorazione a reticolo di questi oggetti realizzati soprattutto tra III e IV secolo d.C. dai maestri diatretarii renani che intagliavano il vetro con un’abilità pari solo a quella degli orefici.
Quando parliamo di diatrete, dunque, facciamo riferimento a coppe bicolore con una parte inferiore avvolta appunto da un reticolo in vetro e una superiore che, appena sotto il bordo del bicchiere, reca spesso una scritta – sempre in vetro – in latino o in greco. Una scritta che invita alla convivialità.
Un buon esempio è la famosissima diatreta Trivulzio, detta così dalla famiglia che la conservava nella sua collezione prima di cederla al Museo archeologico di Milano: la scritta Bibe, vivas multis annis, e cioè ‘Bevi, vivrai molti anni’, esorta l’ospite a godere dei piaceri del simposio.
Poiché si trattava di tazze senza piede, spesso erano vendute in abbinamento a una base incavata chiamata angoteca, una specie di un supporto su cui appoggiare le coppe perché non cadessero. Questo poteva essere in legno ma più spesso era in metallo pregiato, e cioè in bronzo, in argento o in oro. Le diatrete, insomma, erano oggetti di pregio, e per questo si trovavano solo tra i servizi da tavola delle classi sociali più elevate.
Volete saperne di più sulle coppe diatreta? Come e dove venivano prodotte? E perché ne parliamo ancora oggi?
Per soddisfare la vostra curiosità, ascoltate la nuova puntata di Archeoparole (cliccate sul player). A noi di Archeostorie non resta che dire… in alto le diatrete! Si brinda al 2019!
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