C’è tempo fino al 24 gennaio per presentare la propria candidatura ad Archeo Up, un corso di avvio all’autoimprenditorialità nel campo dei beni culturali ideato dall’Università Cattolica di Milano.
Non serve essere archeologi, anzi! È caldeggiata la partecipazione di creativi di ogni sorta, come anche di esperti di economia, marketing, comunicazione, ambiente, di tutto di più. Basta che nel gruppo ci sia un archeologo. Perché l’intento del corso è proprio quello di favorire la nascita di gruppi di lavoro il più possibile ibridi che sappiano generare idee imprenditoriali nuove e originali.
È un corso molto diverso dai soliti incubatori d’impresa. Tra l’altro, si può partecipare anche come singoli e venire poi uniti ad altri per formare un gruppo, e non è indispensabile avviare necessariamente un’attività imprenditoriale al termine. Si può anche, magari, prendersi tempo e pensarci su, oppure decidere di utilizzare le capacità acquisite in ambiti diversi.
Libertà assoluta, insomma, a fronte di massima professionalità delle forze in campo: dalla Scuola di specializzazione in beni archeologici della Cattolica al ConLab della Cattolica stessa (laboratorio di creatività che stimola la contaminazione tra persone e competenze), alla società 2i3T, incubatore d’impresa che fa capo all’Università di Torino.
Per meglio capire la peculiarità del corso, ne abbiamo parlato con l’archeologo dell’Università Cattolica Giorgio Baratti, promotore e coordinatore scientifico del progetto assieme al collega Furio Sacchi.
A cosa aspirate con questo corso, e che tipo di partecipazione contate di avere?
Per quanto riguarda gli archeologi, vogliamo farli uscire dalla dinamica del solo lavoro in cantiere e farli entrare, grazie alla collaborazione con altri professionisti, in ambiti più dinamici. Agli altri, invece, chiediamo di avvicinarsi alle problematiche dell’archeologia per coglierne le opportunità. Spesso chi non è archeologo non immagina neppure quanti spazi l’archeologia può offrire.
Ci può fare qualche esempio?
Penso alla collaborazione tra archeologi ed esperti di grafica o di tecnologie per ideare applicazioni che propongano modalità innovative di visita di musei o aree archeologiche. Ma è solo la soluzione più facile e immediata. Si potrebbe lavorare anche in ambito internazionale, proponendo progetti culturali a paesi che sono ansiosi di conoscere la nostra cultura.
Mostre, per esempio?
Sì certo, mostre sugli Etruschi o i Romani. Ma anche seminari e corsi di formazione per tecnici dei beni culturali, o servizi per l’archeologia di ogni tipo, dal restauro alla catalogazione alla gestione e la comunicazione. Bisogna solo avere inventiva. L’esempio più calzante è forse una delle società convenzionata con noi per lo stage, la belga Mazomos. È formata da archeologi, geologi e ingegneri ambientali, e offre in tutto il mondo servizi di valutazione di impatto ambientale e archeologico, progetti di salvaguardia dell’ambiente e del territorio, o di promozione e valorizzazione di beni sia archeologici che ambientali. Ma è esemplare anche la Comex di Marsiglia, società all’avanguardia nel campo delle ricerche sottomarine e nello spazio.
Com’è strutturato il corso?
Dopo un primo modulo che affronta tematiche legate al lavoro in archeologia – dal cantiere alle tecnologie, dalla legislazione alla comunicazione – ogni team sarà accompagnato nella redazione del proprio business plan secondo un approccio learning by doing. Ogni startup sarà poi seguita singolarmente dai nostri esperti, e infine ciascun corsista effettuerà uno stage presso aziende straniere con noi consorziate.
Quanto dura?
Da febbraio a settembre 2020, ed è richiesto un impegno quasi full time. Sarà un lavoro duro per chi lo affronterà, ma credo entusiasmante ed appagante. Un investimento importante per il proprio futuro.
C’è insomma un mondo intero che attende i professionisti pronti a lavorare nell’ambito dei beni culturali. Servono creatività, buone idee, capacità imprenditoriali. L’Università Cattolica si è attrezzata per fornire un aiuto concreto e a titolo gratuito (il finanziamento viene dalla Regione Lombardia grazie al Fondo sociale europeo). Basta essere residenti o domiciliati in Lombardia, e iscritti alle liste di disoccupazione. Trovate tutte le infos a questo link.
Beh che aspettate? Mancano ancora pochi giorni!
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