Nuovo logo ‘acqueo’ per il Parco archeologico di Sibari

9 Dicembre 2021
Il Parco archeologico di Sibari ha una nuova identità visiva che si ispira all'acqua e scorre lungo le trincee della memoria

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Sibari l’acqua, l’uomo, la terra

Sembra una ‘esse’ stilizzata e campeggia nel nuovo logo del Parco archeologico di Sibari. Una esse nera su bianco, elegante, austera, senza fronzoli e orpelli, perché sintesi di un senso ultimo, di un retroscena fatto di storie.

Nella megalettera si distinguono linee curve e rette che la delineano, e che insieme danno corposità, percorrono spazi, tratteggiano consapevolezze. È la cosiddetta ‘identità visiva’, cioè l’insieme di elementi grafici deputati a trasmettere ciò che sei e vuoi comunicare. In questo caso deve rappresentare, racchiudere in un’immagine, uno dei siti archeologici più importanti della Magna Grecia e più estesi del Mediterraneo di età arcaica e classica.

Il video che presenta la nuova identità visiva s’intitola Futura piana di Sibari ma è subito chiaro che si parte da più lontano nel tempo, dall’unione di acqua e terra che hanno forgiato questi luoghi, dall’esperienza dell’uomo che li ha percorsi, vissuti, tracciati.

Tante storie

Le storie di tre città antiche si intersecano come le linee del logo, trama di un unico tessuto rammendato da chi lo studia e lo racconta. La Sibaritide è la colonia achea di Sybaris dell’VIII secolo a.C., ma è poi anche la panellenica Thurii del V, è la latina Copia del II, ed è la frazione cosentina di Cassano all’Ionio con gli altri sette Comuni della piana.

È la lotta all’impaludamento tra il Pollino e la Sila, è lo scavo sott’acqua con la complessa manutenzione di sette pompe idrovore funzionanti ventiquattro ore su ventiquattro, è lo scandalo dell’alluvione del 2013 con la mobilitazione degli angeli del fango, è la stratificazione di popoli che non significa sostituzione ma osmosi, è il tramonto “dai vapori d’argento che a sera stanno a segno nel golfo tra il mare blu intenso e le valli boscose” come ha scritto Giorgio Bocca in un suo reportage.

È poi anche la lotta al degrado, all’illegalità, all’infiltrazione mafiosa quando si pratica la prostituzione in prefabbricati di fortuna all’interno dell’area archeologica, o quando i duecento ettari (sui cinquecento del Parco) dati dallo Stato in concessione agricola e poi espropriati, non sono ancora fruibili perché i concessionari continuano a occuparli. Sibari è la cronaca archeologica di un quotidiano dove l’archeologo, prima che indagatore del passato, è carpentiere dell’avvenire.

Sibari tra l’antico e l’avvenire

Martedì scorso una conferenza stampa ha ufficializzato il neonato logo. Il Parco archeologico di Sibari (dotato di autonomia speciale dal 2019 ma, a causa della pandemia, formalmente operativo soltanto da un anno circa sotto la direzione di Filippo Demma) ha per l’occasione aperto al pubblico, nell’allestimento work in progress del museo della Sibaritide, tre sale multimediali dove si racconta la storia della piana in maniera innovativa.

Nel bivio tra antico e moderno, tra umano e tecnologico, a Sibari si fa la scelta temeraria di percorrere entrambe le strade. Nulla di avventato, ma frutto di un colloquio serrato con il territorio. Da una parte si cerca il visitatore, si dialoga con lui attraverso le singolari didascalie, tradotte in un linguaggio più comprensibile rispetto all’usuale e trasferite a pennarello sulle vetrine espositive, mentre colorati post-it invitano il pubblico a formulare giudizi e suggerimenti, e invadono pareti e spazi promemoria.

Dall’altra parte si coinvolgono i viaggiatori multimediali con videoinstallazioni didattiche sulla Sibaritide dall’età del Bronzo al 700 d.C., animazioni su Thurii nella forma di short film in motion graphic accompagnate dalla voce narrante dell’attore Giuseppe Cederna, postazioni per gamers apprendisti archeologi, manipolazioni virtuali in 3D dei reperti, tra cui il famoso Toro cozzante.

Risponde alle stesse istanze comunicative, in una sorta di dialogo tra passato e presente, la mostra Invocazioni dell’artista tarantina Giorgia Catapano (fino all’8 marzo 2022) che riproduce capolavori dell’arte antica su pagine di quotidiani, quasi un riciclo dell’antico dentro l’intuizione contemporanea.

La sfida: raccontare un mito che non si vede

Nella mesopotamìa, ovvero nella terra in mezzo a due fiumi, il Crati e il Coscile, e a ridosso del mare, sorgeva Sibari, ieri impero invincibile e culla dell’edonismo, oggi invisibile poiché a sei metri sotto terra annegati dalla falda acquifera. Ricostruirla in un racconto alla portata di tutti, digitalizzando segni e aggiornando lessici, è dunque la vera sfida. Il moderno visitatore del sito vede solo Copia e le strade di Thurii riusate dai Romani, ma non l’antica Sibari. Vede vestigia sommerse tra le braccia dell’humus che partorisce agrumi, olio e riso nella piana riconquistata.

Ci sono due acque, a Sibari. C’è l’acqua che invade le terre per il fenomeno geologico della subsidenza, cioè l’abbassamento progressivo del terreno, e c’è l’acqua di euripidea memoria del Crati taumaturgico che “accende le bionde chiome, che nutre benefico, con il suo corso divino, quella regione di uomini forti”.

Così proprio l’acqua, madre e matrigna, è la protagonista del video che battezza l’immagine coordinata. Frame dopo frame si passa da una statica distesa marina a una goccia che disegna cerchi concentrici, poi all’onda sulla battigia che dà la spinta alla creazione di linee, quelle della griglia ortogonale concepita dall’architetto greco Ippodamo di Mileto e da lui adoperata nell’insediamento di Thurii. Linee semplici, basiche, sinuose dentro una sezione aurea di ‘divina proporzione’ che dalla natura mutua la bellezza armonica.

Le esse della Storia e delle storie

Le immagini in bianco e nero restituiscono sussurri di voci interiori, senza dare risposte giuste o sbagliate. L’interpretazione dell’identità visiva resta soggettiva come le macchie di Rorschach: ad alcuni appaiono ombre indistinte, ad altri un caleidoscopio di sfumature, ma ogni macchia è un margine senza replica, una traccia unica che il tempo ci scolpisce internamente, scarnificando il superfluo.

A Sibari è possibile liberarsi dell’inutile eccedente, perché l’archeologia è ancora rapporto diretto, senza artifici, con la terra che svela, toglie e dà. È un ridursi all’essenziale, faticoso, mai liberatorio, perché ti rende vulnerabile, ma ti insegna la sintesi di quel senso ultimo. Quello costruito sulla passione, sul sacrificio di un manipolo di archeologi in trincea, gli stessi che il grande archeologo Amedeo Maiuri definì “commoventi” in un articolo sulle terre della Sibaritide pubblicato sul Corriere della Sera nel 1960. Quello radicato nelle vite di chi è impegnato a riorganizzare narrazioni e nuovi inizi in un capodanno anticipato a inizio dicembre.

Alla fine sono le storie (con la esse minuscola) umane di archeologi, spesso sconosciute e senza nome, ad alimentare la Storia nota di Sibari (con la esse maiuscola) e oggi immortalata nel logo. Ora si guarda alle storie future. Nessun effetto speciale, semplicemente l’archeologia abita lì.

Autore

  • Claudia Procentese

    Spesso mi chiedono come faccio a conciliare il lavoro di cronaca e inchiesta giornalistica con la passione e lo studio dell'archeologia. Non nascondo che alcuni, i ‘puristi’, storcono il naso. La loro domanda è: ma tu che vuoi fare nella vita? Cronaca. È stata cronaca. Noi siamo cronaca. Fare cronaca è dare una forma alla storia su cui inciampiamo tutti. E quella antica non è un catalogo di cocci, ma la ricerca viva di noi stessi.

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1 commento

  1. Gaetano

    Stupendo articolo che fa comprendere la necessità di unirsi, capire la Storia e l’archeologia, fondamentali per imparare a vivere oggi. Nell’ottica del pregiatissimo articolo si comprende come un sito archeologico, in museo dimenticato sia cosa viva e attuale, concreta. Grazie per le ulteriori notizie misconosciute

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