I rilievi assiri di Faideh, una scoperta epocale

9 Dicembre 2019
Sono grandi e splendidi: i rilievi assiri di Faideh, scoperti dagli archeologi dell’Università di Udine nel Kurdistan iracheno, faranno molto parlare di sé

Io i rilievi assiri di Faideh li ho visti. Sono andata lì, nel Kurdistan iracheno, non appena Daniele Morandi Bonacossi (che dirige la missione archeologica dell’Università di UdineTerra di Ninive”) mi ha raccontato la strepitosa scoperta. E sì, lo confermo, è strepitosa davvero. È al di là della nostra immaginazione, o almeno della mia.

Perché non mi aspettavo di trovarmi di fronte a tanta imponenza: sono rilievi grandi davvero, misurano ciascuno cinque metri per due, e sono tanti. Finora ne sono stati portati alla luce dieci, ma non si sa ancora quanti siano esattamente. Infatti sono tutti scavati nella roccia lungo il percorso di in canale che taglia a mezza costa una collina, ampio quattro metri e lungo sei chilometri e mezzo: in futuro, Morandi e i suoi dovranno seguirlo tutto per ricostruire l’intero progetto idraulico e iconografico.

Faideh, rilievi 6-7

Faideh, rilievi 6-7, VIII-VII sec. a.C. – foto Alberto Savioli per LoNAP

Opere grandiose

Non è un canale enorme, intendiamoci. In quell’area c’è ben altro! Il re assiro Sennacherib ha realizzato un sistema di canali veramente importante e capillare per portare l’acqua dai monti Zagros fino alla sua capitale Ninive, e alcuni dei suoi canali sono lunghi più di 50 chilometri e larghi 100-120 metri. Sono strutture giganti davvero. Sennacherib ha costruito anche acquedotti per superare gli avvallamenti del terreno. Non sono stati inventati dai romani, gli acquedotti, come noi immaginiamo. E l’acquedotto di Jerwan è di una grandezza e imponenza da togliere il fiato.

Tutto questo lavoro è servito a Sennacherib per trasformare la sua capitale in un giardino, a cavallo tra VIII e VII secolo a.C. Quando Roma era appena nata, per capirci. C’è stato persino chi ha ipotizzato che i tanto decantati giardini pensili di Babilonia fossero in realtà a Ninive. È l’assiriologa Stephanie Dalley che nel suo libro del 2013 The Mystery of the Hanging Gardens of Babylon ricorda come Sennacherib, nei suoi annali, parli addirittura di un attrezzo di bronzo capace di far salire le acque a quote superiori, cioè la vite di Archimede. Non sarebbe stata inventata, quindi, dallo scienziato siracusano.

Ma Sennacherib non voleva solo rendere bella e vivibile la sua Ninive; doveva anche fornire ai suoi abitanti il necessario per vivere. E infatti i canali, nel loro percorso dai monti alla città, irrigavano anche la grande piana mesopotamica rendendola fertilissima. Era dunque un piano veramente ingegnoso, quello di Sennacherib, un progetto che solo il sovrano di un grande impero può concepire. Il ‘re costruttore’ descrive bene questa impresa idraulica nei suoi annali e nei rilievi rupestri di Khinis, nel punto esatto da dove parte il canale più importante di tutto il sistema.

acquedotto di Jerwan

L’acquedotto in pietra di Jerwan, VIII-VII sec. a.C. – foto Alberto Savioli per LoNAP

Un’indagine a tappeto

Morandi indaga questa ‘terra di Ninive’ dal 2012: è una ‘terra vergine’ dal punto di vista archeologico perché terra di confine, contesa e martoriata, e perciò mai indagata con occhi e strumenti moderni. Lui ha già identificato e documentato tutti i siti archeologici di un’area vastissima, di 3000 kmq.: 1100 in tutto, dalla preistoria agli ottomani. Un lavoro enorme realizzato grazie al sostegno del Ministero degli Affari esteri e di quello dell’Istruzione, università e ricerca, della Regione Friuli Venezia Giulia, della Fondazione Friuli, dell’Agenzia italiana per la Cooperazione allo sviluppo e di ArcheoCrowd.

Sono però le opere idrauliche assire a spiccare tra tutto e, benché le più scenografiche fossero già note, solo ora grazie a Morandi sappiamo quanto furono numerose, capillari, e tecnologicamente avanzate: canali e acquedotti sono tutti costruiti con una pendenza regolare dell’1%.

Ma proprio perché sono disseminate su un’area vastissima, queste opere devono assolutamente essere tutelate e fatte conoscere, se non vogliamo perderle per sempre. E infatti nell’ottobre scorso Morandi ha consegnato alle autorità del Kurdistan iracheno il dossier, predisposto da lui e dalla sua équipe, per il loro possibile inserimento nella lista Unesco del patrimonio dell’umanità.

grande rilievo di Khinis

Il grande rilievo di Khinis, particolare del re Sennacherib, VIII-VII sec. a.C. – foto Alberto Savioli per LoNAP

Strane vicende a Faideh

Faideh nel dossier non c’è. È citato di sfuggita perché tre dei rilievi erano già stati individuati nel 1978, ma non scavati. E non solo: pochi metri sotto il canale e i rilievi c’è ora una fabbrica di mattoni di cemento, e nel 2015 i suoi proprietari hanno pensato bene di rimettere in funzione parte del canale, così da far scorrere via l’acqua e non esserne invasi. Poi nel 2017 la ruspa del proprietario di una stalla vicina ha intaccato la metà superiore di un altro rilievo.

Infine nel maggio scorso due ‘assiri’, come amano chiamarsi i cristiani di queste parti, hanno fatto il primo scavo vero e proprio, anche se clandestino, portando alla luce un rilievo e deturpandolo: secondo loro, i rilievi sono le testimonianze dei loro diretti antenati. Per non parlare della minaccia dell’Isis che fino al 2016 si era stabilita non troppo lontano da qui.

Morale: per fortuna è giunto Morandi a scavare davvero! Anche perché si tratta di un luogo raggiungibilissimo da tutti. Mentre gli altri rilievi si trovano perlopiù in aree montane scenografiche e amene, e nascoste rispetto alle vie principali di traffico, Faideh è sull’ultimo timido rilievo dei monti Zagros prima della piatta pianura mesopotamica, sta a due passi da una sorta di autostrada con auto e camion che sfrecciano di continuo, e ha il cementificio giusto ai suoi piedi. Il paesaggio, insomma, non è dei migliori.

Faideh, Rilievo 8

Faideh, Daniele Morandi Bonacossi e Cinzia Dal Maso di fronte al rilievo 8, VIII-VII sec. a.C. – foto Teodoro Teodoracopulos

Dieci rilievi tutti uguali

“Proprio qui?” dicevo quasi delusa tra me e me, mentre camminavo lungo la breve salita a fianco del cementificio. Ma poi, una volta giunta di fronte al primo rilievo, tutto è cambiato. Quelle immagini di divinità tutte in fila, pronte a donare i simboli della regalità al re, erano troppo belle, perfette, nitide. Una meraviglia! Non immaginavo davvero che si potessero portare alla luce tali capolavori, ancora nel XXI secolo. E non solo uno, ma dieci rilievi così!

I soggetti dei rilievi sono tutti uguali: per dieci volte vediamo le sette principali divinità assire in fila con in testa il loro capo Assur e dietro a lui la sua sposa Mullissu, seduta su un trono. Ogni dio è posto sopra il proprio animale simbolico, e ha in mano il bastone e l’anello – i simboli della regalità, per l’appunto – che consegna al re. Questi a sua volta si prende il naso con la mano, in un gesto di reverenza verso le divinità. Il re infatti può costruire canali e rendere le terre fertili solo in virtù del suo ruolo di intermediario tra i mortali e gli dei.

Ma di quale re si tratta? Morandi è convinto che sia Sargon, il padre di Sennacherib, che ha ugualmente scavato canali per irrigare i campi ma senza concepire un piano grandioso come quello del figlio. E infatti il canale di Faideh porta semplicemente l’acqua da una sorgente fino alla pianura, e nulla più. Ma allora, se si trattava di un canale secondario, perché decorarlo con rilievi così ricchi e belli? E così numerosi, molti più di quelli che si trovano all’origine dei canali principali di Sennacherib. Già, perché?

Forse quando tutti i rilievi saranno portati alla luce, e il programma decorativo del canale sarà chiaro, si potrà avere una risposta certa. Forse. Al momento, tutta quest’arte e questa ricchezza, per un canale in fondo piccolo, è per me motivo di ulteriore meraviglia.

lago di Mosul

Veduta aerea del lago di Mosul – foto Alberto Savioli per LoNAP

L’acqua degli dei

Intanto Morandi continua il suo racconto. Dice che secondo lui nei rilievi è rappresentato l’Akitu, la festa mesopotamica dell’anno nuovo che cadeva tra il 20 e il 21 di marzo. In quei giorni di primavera, narrano i testi mesopotamici, le statue di tutti gli dei venivano fatte uscire dai templi e portate in processione fuori città, per favorire la fertilità dei campi. Quindi i rilievi non ritrarrebbero le divinità stesse ma le loro immagini, così come si presentavano nella processione dell’Akitu. Forse, continua Morandi, questo era un canale stagionale che ogni primavera, durante l’Akitu, veniva rimesso in funzione donando la tanto desiderata acqua ai campi.

Questi rilievi, quindi, erano importanti e belli perché parlavano di una stagionalità e di un ritmo della natura che un tempo erano vitali. Senza la riapertura del canale e il risveglio della natura in primavera, non si poteva vivere. È stato così, da queste parti, fino al 1986 quando Saddam Hussein ha costruito la grande diga sul fiume Tigri che per anni ha portato il suo nome, e che ora tutti chiamano diga di Mosul.

Oggi dunque è la diga a garantire la vita a tutto l’Iraq del nord. E il lago formato dalla diga è proprio a due passi da Faideh, e si ammira dall’altura. Bello, azzurro, è quasi un paesaggio lunare. Il dio Assur e i suoi lo guardano e forse anche lo tutelano. Perché quella diga è pericolosissima e se vi accadesse qualcosa sarebbe la devastazione per tutta la valle del Tigri. Tutti quegli dei non hanno solo portato acqua e fertilità ai tempi degli assiri: a modo loro, sono utili anche oggi.

Autore

  • Cinzia Dal Maso

    ​Tre passioni: il mondo antico, la scrittura, i viaggi. La curiosità e l’attrazione per ciò che è diverso perché lontano nello spazio, nel tempo o nel pensiero. La voglia di condividere con tanti le belle scoperte quotidiane. Condividerle attraverso la scrittura. Un solo mestiere possibile: la giornalista che racconta il passato del mondo. Scrive su temi di archeologia, comunicazione dei beni culturali, uso contemporaneo del passato, turismo culturale per i quotidiani La Repubblica e Il Sole 24 ore, e per diverse riviste italiane e straniere. Dirige il Magazine e il Journal di Archeostorie.

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7 Commenti

  1. Raffaele Esposito

    È stato emozionante vedere il suo lavoro e quando ti accade qualcosa di importante come questo racconto e ritrovamento, e magnifica la mia vita, per il pregio di cui ci siamo arricchiti

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  2. romano carraro

    estremamente interessante

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      Grazie!

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      Comunque grazie! E sì, è interessante davvero. e’ una scoperta veramente unica

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  3. Laura G.Miceli

    E’ scoraggiante aderire all’invito “Lascia un commento” e poi leggere :Laura G.Miceli 13 Dicembre 2019 at 12:05
    Il tuo commento è in attesa di approvazione
    Estremamente interessante.
    Ripeto : scoraggiante.

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      Mi scusi, ma cos’altro dovremmo fare? Il nostro Magazine usa WordPress e i commenti sono una funzione di WordPress. Il loro funzionamento è stabilito da WordPress, non da noi. Noi li usiamo come li usano tutti, immagino. Non c’è nulla di strano o recondito, anzi! Dover approvare è un lavoro che spesso mi risparmierei volentieri

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  1. Premio intitolato a Khaled al-Asaad: votate! - Archeostorie Magazine - […] ma anche vicina perché opera di archeologi italiani. Ci sono stata, in Kurdistan, ho visto i rilievi di Faida…

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