Grotta di Haua Fteah: monuments men and women all’opera per salvare il nostro passato

22 Giugno 2016
Nonostante i miliziani dell'IS alle calcagna, coraggiosissimi archeologi libici concludono lo scavo della grotta di Haua Fteah.

Chi non conosce le maestose città greche e romane disseminate lungo la costa libica, i meravigliosi teatri di Leptis Magna e Sabratha, l’agorà di Cirene? Non tutti sanno però che in Cirenaica, a circa 200 chilometri da Bengasi, c’è una grotta che è il simbolo dell’archeologia preistorica in Nord Africa: la grotta di Haua Fteah. È la più grande cavità carsica di tutto il bacino del Mediterraneo e una delle più estese dell’intero pianeta. Una sorta di hangar naturale che, con un’apertura di 80×20 metri, si apre ai piedi del Jebel Akhdar, la ‘montagna verde’, la barriera naturale che divide le onde del Mediterraneo dalle dune del Sahara. Senza il coraggio di nove valenti archeologi libici, eroi che lo scorso anno vi hanno scavato con l’IS alle calcagna, oggi molte delle sue preziose informazioni sarebbero irrimediabilmente perdute.

La grotta di Haua Fteah, un gioiello preistorico

La grotta di Haua Fteah è stata indagata per la prima volta tra il 1951 e il 1955 da Charles McBurney, archeologo dell’Università di Cambridge, e la stessa università ha ripreso lì le ricerche nel 2007: sotto la direzione di Graeme Barker, hanno collaborato sia il Dipartimento delle Antichità della Libia che un’equipe internazionale di studiosi, tra cui il sottoscritto.

Gli scavi condotti nella grotta ci raccontano la storia di gruppi di cacciatori-raccoglitori prima e pastori-agricoltori poi, che popolarono la regione nel corso degli ultimi 100mila anni. Partendo dai livelli più antichi, situati a circa quindici metri sotto l’attuale superficie e relativi al Paleolitico medio, la grotta ci tiene per mano accompagnandoci in un mozzafiato viaggio nel tempo. Si attraversano così i livelli di 70mila anni fa da cui provengono gli unici resti umani finora rinvenuti nel sito, due frammenti di mandibola di Homo sapiens, commovente testimonianza di uno dei nostri antenati che per primi giunsero lungo le coste nordafricane. Si superano poi gli strati del Paleolitico superiore e finale per arrivare al Neolitico, quando le prime specie di animali e piante domesticate nelle regioni levantine fecero la loro comparsa in Nord Africa. Da qui si continua il viaggio verso la superficie, attraverso gli strati databili al periodo classico e ai periodi più recenti, fino ad arrivare ai giorni nostri. Come in un meraviglioso fermo immagine durato migliaia di anni, la grotta viene infatti tuttora utilizzata da famiglie di pastori per il ricovero del bestiame. Haua Fteah: 100mila anni di storia dell’uomo, 100mila anni di storia dell’Africa.

grotta di Haua Fteah

Grotta di Haua Fteah: gioco e relax per allentare la tensione

Gli scavi, nonostante la destabilizzazione politica

Nonostante la destabilizzazione che ha investito la Libia dalla caduta del regime di Mu’ammar Gheddafi nel 2011, noi abbiamo continuato le nostre ricerche nella grotta e nel territorio circostante senza incontrare particolari difficoltà. A marzo 2014, però, la crescente instabilità politica del paese e i sempre più concreti rischi per la sicurezza, dovuti soprattutto alla massiccia presenza di miliziani dell’IS nella vicina città di Derna, a soli 60 km a est di Haua Fteah, hanno spinto Graeme Barker a sospendere le indagini, proprio quando la fine era lì, davvero a portata di mano. Un vero peccato; senza contare i 300 sacchi contenenti campioni di suolo raccolti nel corso delle precedenti campagne di scavo e stipati nei magazzini del Dipartimento delle Antichità di Susa, una vera e propria miniera d’informazioni sul clima e l’ambiente nel passato che attendeva di essere analizzata. Cosa, ma soprattutto, come fare?

A fronte di concreti rischi per la sicurezza di noi membri internazionali del team, i colleghi libici, sempre in prima linea sin dagli inizi delle ricerche, potevano ancora operare con sufficiente tranquillità. È in quel momento che sono saliti in cattedra Ahmad Saad Emrage, Fadl Abdulazeez, Akram Alwarfalli, Moataaz Azwai, Saad Buyadem, Badr Shamata, Asma Sulaiman, Reema Sulaiman, Aiman Alareefi, donne e uomini di grande coraggio, provenienti dalle Università di Bengasi e Susa e dai distaccamenti del Dipartimento delle Antichità della Libia di Bengasi, Shahat e Susa. Dopo un addestramento ad hoc presso il Canterbury Archaeological Trust, reso possibile soprattutto grazie al prezioso intervento di Paul Bennet, Head of Mission presso la Society of Libyan Studies, il manipolo di archeologi libici è sceso in trincea – in tutti i sensi, si può dire! – calandosi nel cuore della grotta per terminare lo scavo. Non era impresa facile: non si trattava semplicemente di sbancare una sezione e raccogliere qualche manufatto di selce, ma di condurre un minuzioso scavo stratigrafico, curando al meglio la documentazione e rispettando tutti i protocolli di campionamento. E tutto questo doveva essere portato a termine nel minor tempo possibile.

La prima campagna ha avuto inizio il 9 maggio 2015 ed è durata 4 settimane; sotto la guida di Ahmad Saad Emrage dell’Università di Bengasi, i nove ‘Monuments Men and Women’ hanno prima portato a termine il lavoro sui campioni di suolo conservati a Susa e poi si sono trasferiti in grotta prevedendo di concludere lo scavo entro la fine di giugno. Le cose non sono andate come previsto. “L’atmosfera si era fatta tesa da giorni”, Ahmad racconta ad Archeostorie. “Sapevamo che da Derna i miliziani dell’IS stavano avanzando verso ovest. Dovevamo far presto, molto presto. Sentivamo spesso rumore di spari e urla. Avevamo paura, ma nonostante tutto abbiamo deciso di non fermarci. Nel corso dei raid contro le postazioni dell’IS, spesso aerei ed elicotteri dell’aeronautica militare libica sorvolavano la grotta e noi eravamo costretti a nasconderci, per paura di essere scambiati per qualcuno di loro e attaccati. Ricordo quel giorno in cui tenevo in spalla un lungo tubo di plastica nera contenente i rilievi della stratigrafia fatti in grotta il giorno prima e, al rumore di un elicottero in avvicinamento, il mio collega Fadl ha afferrato velocemente il tubo gettandolo via, per paura che potesse essere scambiato per un lanciarazzi. Appena l’elicottero è scomparso dietro la montagna, terrorizzati, ci siamo guardati negli occhi e una volta passato lo spavento… siamo scoppiati a ridere! Nonostante la paura che cresceva, andavamo avanti sempre più convinti dell’importanza di ciò che stavamo facendo. Abbiamo continuato a lavorare finché una mattina un amico che abita lì vicino è arrivato di corsa, urlando che dovevamo assolutamente andarcene perché la sera prima aveva visto degli uomini dal volto coperto, forse miliziani dell’IS, entrare nella grotta. Stavamo ancora discutendo su quanto accaduto, quando alcuni membri delle autorità locali ci hanno raggiunti intimandoci di sospendere immediatamente i lavori. A malincuore abbiamo raccolto la nostra attrezzatura e abbiamo abbandonato la grotta”.

Non sarebbe assolutamente finita così! I nostri colleghi libici non avevano nessuna intenzione di gettare la spugna. Esattamente due mesi dopo l’interruzione della prima campagna di scavo, grazie anche all’intervento delle forze armate libiche che nel frattempo erano riuscite a spingere i miliziani dell’IS verso est, i “fantastici 9” hanno rimesso piede a Haua Fteah e, in sole 4 settimane, sono riusciti a portare a termine lo scavo, mettendo così al sicuro una quantità enorme di dati che permetteranno di scrivere tutta la storia di questo meraviglioso sito dall’inizio alla fine. “Quella grotta racchiude un pezzo di storia dell’umanità, la nostra storia; una storia che va tramandata ai nostri figli”, conclude Ahmed. “Quello che i miei colleghi e io siamo riusciti a fare a Haua Fteah è la prova che il mio paese non si è arreso, che la Libia rinascerà presto.

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