Da Trieste a Pompei, in archeologia vincono gli open data

2 Febbraio 2016
Open data significa condivisione del sapere, partecipazione democratica alla conoscenza. A Trieste nei giorni scorsi l'archeologia ha volato alto
Open data, condivisione, riuso, partecipazione democratica alla conoscenza. A Trieste nei giorni scorsi si è volato alto, grazie al convegno Patrimoni culturali, sistemi informativi e open data: accesso libero ai beni comuni?, fortemente voluto da Rita Auriemma direttrice dell’Istituto per il patrimonio culturale del Friuli Venezia Giulia. Si è respirato ampio e si è guardato lontano con una precisa rassegna di buone pratiche nazionali e di ottimi piani in via di realizzazione. Mentre venerdì prossimo a Pompei il progetto Open Pompei chiuderà i battenti ma oramai il dado è tratto: aprire al mondo sempre più dati sulla città vesuviana è oggi un dovere. Se non per tutti, per molti.

Open data: crollano le barriere

Le barriere stanno crollando, una alla volta. Questo si è capito, chiaro, al convegno di Trieste. Si è capito che aprire la conoscenza a tutti è più facile di quanto si pensi: molti dubbi su possibili restrizioni imposte dalla legge nazionale, o sui copyright, sono stati fugati uno dopo l’altro. E quando la legge si oppone come fa il cosiddetto Art bonus (legge 106/2014), che impedisce la libera riproduzione di immagini in archivi e biblioteche anche solo per studio, bisogna combatterla come fa da tempo il gruppo Fotografie libere per i beni culturali guidato da Mirco Modolo. Ma prima o poi lo capiranno tutti: chi mette le proprie conoscenze a disposizione degli altri non perde nulla, mentre guadagna in termini di visibilità e nuove idee che possono sorgere dalla condivisione.Questo è già accaduto, per esempio, in musei che stanno mettendo in rete, per il libero riutilizzo, immagini ad alta risoluzione e schede delle proprie collezioni, e il caso del Rijksmuseum di Amsterdam è emblematico perché ha saputo misurare anche il vantaggio economico di tale apertura. È accaduto anche alla Fondazione Torino Musei che ha da tempo aperto le proprie collezioni alla partecipazione dei cittadini e alla rete, e sta lavorando per una gestione sempre più condivisa. E’ accaduto poi in luoghi come l’Istituto per i beni culturali dell’Emilia Romagna che dallo scambio con le realtà locali ha ricevuto importantissimi feedback, e soprattutto indicazioni su come e cosa condividere. Perché una digitalizzazione compulsiva di tutto il patrimonio librario, archivistico, dei beni culturali, non è né fisicamente né economicamente realizzabile in tempi brevi. Bisogna scegliere da dove iniziare, identificando ciò che più facilmente potrà essere riutilizzato. Per questo servono collaborazione, una discussione aperta e senza pregiudizi sulla scelte, e un’educazione dei cittadini al riuso che ne faccia conoscere i vantaggi. Non è vero che, come pensano molti, certi dati non saranno mai riutilizzati: una volta avviato l’ingranaggio, non si fermerà più e sarà un enorme salto di qualità per di tutti.

open pompei, open data

Locandina di open Pompei

 

Bisogna inoltre formare persone capaci di produrre dati in formati e con licenze aperti. Oggi, tra l’altro, non basta che i dati siano “open” ma devono essere anche “linked” (i cosiddetti LOD, linked open data), cioè dati dotati di informazioni che rendano evidenti i collegamenti tra essi. Il potenziale informativo di tali collegamenti è enorme, come si può immaginare. Non basta dunque essere aperti al mondo ma bisogna essere anche connessi con tutto il resto del mondo. Servono poi esperti che sappiano “aprire” anche i dati degli scavi archeologici come fanno i progetti Sitar a Roma (quando riceverà le opportune autorizzazioni) e Mappa a Pisa. O come fa il Mod dell’Università di Pisa che offre una piattaforma a chiunque voglia “aprire” i propri dati grezzi di scavo, per non farli finire in un cassetto dimenticati. E a Pisa si organizzano anche corsi per diventare tecnico dei dati archeologici.Intanto però il progetto Open Pompei si avvia tristemente alla chiusura. In tre anni ha portato una ventata di aria fresca nella valle del Sarno: ha fatto da catalizzatore, ha appoggiato e incoraggiato vari progetti di cittadinanza attiva in zona. È riuscito a rendere pubblici molti dati amministrativi e finanziari sui lavori realizzati nell’ambito del Grande progetto Pompei: non tutti i dati come avrebbe voluto, ma sappiamo che la farraginosa macchina statale rallenta molti progetti ed entusiasmi. Per gli stessi motivi, non è riuscito neppure nell’intento di cominciare ad “aprire” le informazioni scientifiche racchiuse negli archivi della Soprintendenza archeologica di Pompei. Però l’ingranaggio è avviato e venerdì prossimo, al termine della giornata di conclusione dei lavori, le istituzioni, associazioni locali ed esponenti della società civile saranno chiamati a firmare un documento di intenti per l’apertura di ulteriori dati.

Immagine

Ieri sera ero al Museo di palazzo Altemps a Roma per lo spettacolo di chiusura della mostra La forza delle rovine, curata da Marcello Barbanera e Alessandra Capodiferro. Una mostra sublime, e invito chiunque non l’abbia vista a leggere almeno il catalogo-libro pubblicato da Electa. Ha riflettuto sul tema delle rovine da moltissimi punti di vista: rovine antiche e moderne, rovine per gli antichi e per i moderni, rovine affascinanti e conturbanti, da apprezzare in sé o da integrare, paesaggi di rovine e paesaggi in rovina. Rovine nella pittura, nella scultura, nella fotografia, nel cinema, nella letteratura, nella poesia, nella musica. Opere che hanno colmato tutti gli spazi di palazzo Altemps in un dialogo ininterrotto e rivelatore coi capolavori della collezione permanente. È stata insomma una mostra di connessioni tra un’infinità di campi dell’arte e dello scibile umano. Una messe di dati aperti a mille interpretazioni e suggestioni, e in connessione continua, mutevole e feconda tra loro. Ho visitato la mostra non so quante volte, e ogni volta ho scoperto, intuito o semplicemente sognato nessi diversi. Ho sempre scoperto mondi nuovi. In conclusione, ieri, la mostra ha offerto uno spettacolo-concerto dedicato a Franz Schubert nel suo ultimo, disperato e creativissimo anno di vita. L’intrecciarsi delle parole di Sandro Cappelletto e del pianoforte di Marco Scolastra hanno mostrato come una vita “in rovina” sia capace di grande, intensa, sofferta e conturbante creatività. Mentre applaudivo ho pensato che nulla più di questa mostra e del suo gran finale musicale può rendere concretamente e visivamente l’idea degli open linked data del web. E della loro incommensurabile potenza.

Autore

  • Cinzia Dal Maso

    ​Tre passioni: il mondo antico, la scrittura, i viaggi. La curiosità e l’attrazione per ciò che è diverso perché lontano nello spazio, nel tempo o nel pensiero. La voglia di condividere con tanti le belle scoperte quotidiane. Condividerle attraverso la scrittura. Un solo mestiere possibile: la giornalista che racconta il passato del mondo. Scrive su temi di archeologia, comunicazione dei beni culturali, uso contemporaneo del passato, turismo culturale per i quotidiani La Repubblica e Il Sole 24 ore, e per diverse riviste italiane e straniere. Dirige il Magazine e il Journal di Archeostorie.

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