Museo delle civiltà: il grande progetto e le inutili polemiche sulla chiusura di Palazzo Brancaccio

2 Novembre 2017
Presentato ieri, tra le polemiche sulla chiusura di Palazzo Brancaccio, il progetto del Museo delle civiltà. È una vera scommessa, grande e importante, che non va ostacolata ma supportata.

“Sono riuscito a mettere d’accordo il Manifesto e Casa Pound”. Usa l’ironia l’archeologo Filippo Maria Gambari, direttore del Museo delle civiltà, ma in fondo è ironia velata di tristezza. Ieri mattina ha presentato al pubblico il grande progetto nazionale che vedrà nascere all’Eur un museo unitario composto dall’unione di quattro anime: il Museo preistorico ed etnografico ‘Luigi Pigorini’, il Museo delle arti e tradizioni popolari, il Museo dell’alto medioevo e il Museo d’arte orientale ‘Giuseppe Tucci’, con aggiunto anche il vecchio Museo africano (o Museo coloniale) già acquisito nel 2011 dal Pigorini.

Gambari ha raccontato come il nuovo Museo diventerà un centro di cultura importante in grado di attrarre visitatori e risorse. Un museo moderno, dotato di tutto, capace di valorizzare a pieno un patrimonio importantissimo proveniente dai quattro angoli del pianeta e finora troppo trascurato.

Palazzo Brancaccio: una sede oramai inadeguata

Quella di ieri doveva essere una festa e lo è stata, ma costantemente adombrata dalle polemiche degli ultimi giorni sulla chiusura definitiva, a partire da ieri, della sede del Museo d’arte orientale a Palazzo Brancaccio in via Merulana a Roma. Una petizione su change.org, articoli a stampa, la stessa voce Wikipedia sul palazzo, un picchetto di fronte al museo e una sorta di linciaggio sul web hanno accompagnato la chiusura delle porte e l’apertura degli imballaggi per il trasloco.

Perché, per l’appunto, di trasloco si tratta e non di chiusura. Trasloco in una sede più grande e adatta che potrà esporre al pubblico tutte le bellezze del Museo, cosa che l’appartamento di Palazzo Brancaccio non era più in grado di fare. È proprio vero che al giorno d’oggi si polemizza seguendo l’onda, senza informarsi neppure un po’.

Le sale di Palazzo Brancaccio saranno sì affascinanti, ma da tempo erano inadatte. E, diciamolo, anche l’allestimento e la presentazione delle opere erano oramai inadeguati e poco comprensibili a un profano. Chi protesta per la sua sopravvivenza forse non lo conosce davvero o non lo ha frequentato di recente. Perché allora saprebbe degli spazi angusti in cui è costretto, dell’affitto che paga a un privato, la famiglia Brancaccio, e della necessità di interventi pesanti per adeguare quelle sale vetuste alla modernità. Saprebbe inoltre che alcune sale erano chiuse dall’agosto 2016 per un incendio causato da un cortocircuito nell’impianto di condizionamento.

Museo delle civiltà: la nascita

Informandosi, poi, saprebbe anche che il suo trasferimento all’Eur era già stabilito da una serie di decreti ministeriali del 2016: il 23 gennaio si era decisa la nascita del Museo delle civiltà collocando la sua sede all’Eur; il 9 aprile è stato stilato l’elenco dei musei afferenti; il 28 giugno è stata attribuita al Museo così costituito l’autonomia speciale. Insomma era già tutto deciso e chiaro da tempo. Protestare quando le chiavi sono oramai consegnate non serve a nulla.

Se tutti i protestanti fossero andati ieri mattina al Pigorini a sentire la presentazione di Gambari e dei suoi collaboratori, avrebbero visto come il Museo orientale avrà all’Eur spazi immensi sia per l’esposizione al pubblico che per i magazzini, con attrezzature modernissime. Si è parlato di un ampliamento significativo che in pratica quasi raddoppierà gli spazi oggi occupati dal Pigorini e dal Museo dell’alto medioevo, con l’aggiunta di tutto il piano terra e il seminterrato degli edifici.

Saloni ampi e bene illuminati ospiteranno, oltre alle collezioni orientali e africane, anche tutti i servizi che i quattro musei avranno d’ora in poi in comune (adeguando in tal modo le strutture di tutti agli standard museali moderni): laboratori di restauro, una biblioteca sterminata formata dall’unione delle biblioteche di tutti gli istituti, sale per esposizioni temporanee, e poi una caffetteria e una grande libreria. Tutto aperto verso l’esterno e quindi fruibile anche dopo la chiusura del museo. E sul soffitto degli edifici, pannelli fotovoltaici saranno in grado di produrre ben più del fabbisogno energetico dei musei.

È un progetto ambiziosissimo da 10milioni di euro (fondi C.i.p.e.) che, promette Gambari, vedrà la luce entro il 2019. Poi anche gli altri musei saranno ristrutturati in modo da costruire un percorso di visita armonico e unitario. Ma il primo museo a trarre vantaggio da questa rivoluzione sarà proprio il Museo d’arte orientale. Museo che comunque, in questi anni di lavori, non vedrà i suoi tesori chiusi a chiave ma comunque esposti nel grande androne al primo piano del Museo Pigorini. Già da prima di Natale, assicura Gambari, saranno visibili le prime vetrine.

Anche le osservazioni sui costi di locazione paiono fuori luogo. È vero, anche all’Eur i nuovi spazi saranno in affitto, ma in questo caso locatore sarà l’Inail, cioè un ente statale e non un privato. E a fronte di una costo leggermente superiore a quanto chiede da Palazzo Brancaccio, il Museo ottiene all’Eur spazi infinitamente maggiori: circa 10mila metri quadrati di spazi, già pensati per essere sede museale, per meno di un milione di euro annui, a fronte di 700mila euro annui per avere 3mila metri quadri di porzioni separate del palazzo di via Merulana.

Una grande scommessa

Cosa si lamenta, dunque? Il trasferimento di una sede museale dal centro alla periferia? Questa è la vera scommessa di Gambari: costruire un polo culturale così importante da diventare fulcro della rinascita dell’Eur stesso. È una scommessa non da poco e ieri Gambari ha presentato anche alcune strategie, dalle sinergie con altre realtà importanti dell’Eur al ruolo che il Museo avrà durante le gare della Formula E, alla proposta di cambiare il nome della fermata della metropolitana ‘Eur Fermi’ in ‘Musei delle civiltà’ (comprendendo in ciò anche il vicino Museo della civiltà romana, chiuso dal 2014, dove il Comune ha finalmente iniziato i lavori di ristrutturazione).

Un grande museo demoetnoantropologico, come si suol dire, è ciò che manca ed è sempre mancato al nostro paese. Un museo che sappia produrre vera ricerca sulle nostre origini e sul valore delle culture di tutto il mondo, e la trasformi poi in valore per i cittadini tutti. Quello di Gambari non sarà un lavoro facile ma è sicuramente entusiasmante e necessario.

Diamogli fiducia, seguiamo i progressi sul web e frequentando davvero il Museo e le sue molte iniziative, magari acquistando il biglietto annuale che fino al 31 marzo 2017 è di soli 18 euro. Usiamo la nostra coscienza civica per fare proposte e aiutare il nascere di questa grande impresa. Poi se i tempi non saranno rispettati o il risultato non sarà all’altezza, allora potremo criticare. Al momento, però, da cittadini consapevoli dovremmo stare attivamente a vedere.

Autore

  • Cinzia Dal Maso

    ​Tre passioni: il mondo antico, la scrittura, i viaggi. La curiosità e l’attrazione per ciò che è diverso perché lontano nello spazio, nel tempo o nel pensiero. La voglia di condividere con tanti le belle scoperte quotidiane. Condividerle attraverso la scrittura. Un solo mestiere possibile: la giornalista che racconta il passato del mondo. Scrive su temi di archeologia, comunicazione dei beni culturali, uso contemporaneo del passato, turismo culturale per i quotidiani La Repubblica e Il Sole 24 ore, e per diverse riviste italiane e straniere. Dirige il Magazine e il Journal di Archeostorie.

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