La pietra nascosta: un tuffo nel passato del Kuwait

11 Marzo 2024
Una pietra trovata durante scavi archeologici sull’isola di Failaka, fa riaffiorare le storie e la vita in Kuwait prima del petrolio

È una scoperta sorprendente: una grande pietra lavica, rotonda e con un foro al centro. Una preziosissima testimonianza materiale di come si conduceva un tempo la pesca delle perle nel Golfo Persico, e in particolare in Kuwait. Gli antichi pescatori, infatti, facevano passare attraverso il foro una lunga corda e si immergevano assieme alla pietra, che fungeva da peso per agevolare la loro discesa in profondità, ma anche da guida durante l’immersione e l’emersione.

La pietra è stata trovata l’anno scorso sull‘isola di Failaka, Kuwait, durante le ricerche della missione archeologica italo-kuwaitiana guidata per l’Italia dall’archeologo Andrea Di Miceli. Rivela una storia affascinante che ha origini antiche, ancor prima che il petrolio diventasse la forza trainante della regione.

Memoria di una regione

Infatti la pesca delle perle fa parte della memoria delle comunità che si affacciano sul Golfo Persico. In Kuwait compare un po’ ovunque, dalle banconote nazionali (dove compare proprio il pescatore che si immerge con la pietra) alle forme ‘a perla’ dei grattacieli della capitale, e racconta di quando l’economia del paese ruotava attorno al commercio delle perle.

I pescatori kuwaitiani, imbarcati su tradizionali dhows -le tipiche barche a vela in legno- solcavano le acque alla ricerca di ostriche perlacee, rinomate nel Golfo per la loro lucentezza e colore. Questa attività coinvolgeva intere comunità, richiedeva notevoli abilità di navigazione e profonda conoscenza delle acque locali.

banconota Kuwait

Banconota da 20 Diram del Kuwait con dettaglio della pietra legata al collo del pescatore

La pesca delle perle in Kuwait

La giornata iniziava al sorgere del sole. I subacquei si preparavano con cura, indossando un abbigliamento specifico: una lunga camicia, pantaloni, e una copertura sulla testa per proteggersi dalle molte meduse presenti in acqua. Erano poi equipaggiati con un tappo nasale in osso, oppure inserivano della cera fusa nelle narici, e avvolgevano intorno alle dita pezzi di cuoio di mucca, così da proteggerle durante la raccolta delle ostriche che sono molto taglienti.

La pesca delle perle era un’impresa molto pericolosa: il rischio di annegamento era molto alto, come pure quello di contrarre malattie connesse con l’immersione prolungata. Tuttavia era una necessità per chi doveva mantenere la propria famiglia, e le perle raccolte non erano mai abbastanza.

La giornata dei pescatori di perle era accompagnata dal suono del Nahham, il ‘cantore’ che, sul ponte della nave, intonava la Al – Nahma, un canto popolare. Al tramonto, il Nukhatha, il comandante, fermava l’attività per permettere ai pescatori di pregare e di mangiare un pasto abbondante, solitamente a base di riso e pesce. Il giorno successivo, invece, altri uomini si occupavano dell’estrazione delle perle dalle ostriche raccolte.

Oggi, la memoria di questa pratica tradizionale si mantiene viva nei musei, come per esempio il Tareq Rajab Museum, o in manifestazioni come il Pearl Diving Festival che si svolge ogni anno in agosto. Vi partecipano sempre molti giovani che si imbarcano su navi tradizionali per rivivere la caccia alle ostriche selvatiche. Navi che solcano le basse acque che collegano il continente all’isola di Failaka.

Le due facce di Failaka

Il nostro immaginario occidentale associa luoghi come Failaka a profumi di spezie e mercati animati, ma oggi rimangono solo poche tracce della ricca storia antica dell’isola. Vi predominano, evidentissime, le molte cicatrici lasciate dalla guerra del Golfo. Infatti, a partire dal 1990 Failaka venne occupata dalle forze irachene che la considerarono un punto strategico per le operazioni militari e per la sua vicinanza alla capitale. Allora, a causa dei combattimenti e della mancata manutenzione dei siti, il suo patrimonio culturale subì gravi danni. E nel 1991, con la liberazione, tutta l’isola venne evacuata per consentire la rimozione delle mine antiuomo. Così oggi è in uno stato di totale abbandono.

Oggi a Failaka il silenzio assordante è interrotto solamente dal suono metallico degli strumenti di scavo degli archeologi. I primi scavi nell’isola risalgono agli anni Cinquanta del secolo scorso e furono condotti da archeologi danesi; portarono alla luce le prime testimonianze di frequentazione che risalgono al terzo millennio a.C., e poi testimonianze di diverse epoche successive, in particolare nei periodi ellenistico, sasanide e islamico. Oggi vi lavorano diverse missioni provenienti da diversi stati europei.

torri perle Kuwait

Kuwait Towers: la loro forma richiama quella delle perle

Storie di Failaka

La missione italiana conduce scavi a Failaka dal 2010 e opera nella zona di Al-Qurainiyah, un villaggio islamico abitato dalla metà del XVIII secolo d.C. fino ai primi decenni del XX secolo d.C. Di Miceli ha identificato due tipologie di abitazioni, una detta ‘elongated’, di forma rettangolare con divisioni interne, e una seconda più piccola e di forma quadrangolare.

Nello stesso luogo sono venute alla luce tracce di un secondo insediamento risalente all’VIII secolo d.C. che potrebbe essere un porto utilizzato dagli abitanti del villaggio di principale dell’isola, Al Qusur, dove ora indaga una missione archeologica francese. Ancora più sotto questo abitato, però, è stata scoperta una fase ancora più antica e legata probabilmente alla prima frequentazione dell’isola tra I secolo a.C. e II secolo d.C. Ma al momento non sappiamo molto di più perché è ancora in corso di studio.

Fondamentali per identificare le fasi cronologiche sono gli oggetti in ceramica, che forniscono preziose informazioni sui legami con realtà vicine e lontane (e a Failaka sono particolarmente evidenti i rapporti con l’India). Inoltre, le ceramiche rivelano dettagli sulla tecnica di cottura, la preparazione di cibi e persino la conservazione di sostanze a fini industriali, come il bitume. Ma negli scavi a Failaka emergono anche oggetti in altri materiali, in particolare vetro e pietra.

L’archeologia restituisce la vita

È il caso della nostra pietra per le immersioni, che rappresenta un legame tangibile con un passato in cui la vita delle genti del Kuwait era profondamente connessa con il mare. Un passato di cui oggi possiamo solo immaginare avventure e storie ormai andate perdute. Non sapremo mai a quale pescatore appartenesse, ma grazie alla ricerca archeologica possiamo conoscere i luoghi e gli ambienti che questa persona probabilmente ha visto e frequentato, dove forse risiedeva con la sua famiglia e dove a fine giornata trovava riposo. L’archeologia, insomma, ci restituisce tutta la sua vita.

Autore

  • Anna Nicolussi

    Archeologia e viaggiare sono il motore della sua vita, ancor meglio se le due cose coesistono. È appassionata della cultura materiale e di ciò che può raccontare ma anche nascondere. Attualmente è iscritta al corso di laurea magistrale in Quaternario, Preistoria e Archeologia presso l’Università degli Studi di Ferrara, e sogna un futuro dedicato alla comprensione del mondo antico

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