7. Il vaso di bronzo

7 Agosto 2019
IL GUERRIERO FANTASMA. Un giallo controcorrente dalla terra dei Sanniti Settima puntata: Il vaso di bronzo

I gemelli Maio e Laria vogliono aiutare il loro amico Mamerco accusato di aver rubato degli schinieri. Circolano voci di un Guerriero Fantasma, un morto a cui è stato rubato il corredo funebre e che per questo si aggira senza pace tra le tombe. E non solo: forse è lui il ladro degli schinieri. Così Maio e Laria vanno di notte al cimitero per provare a ridare pace al Guerriero Fantasma, e scagionare così Mamerco. Ma si imbattono in dei ladri che profanano di notte la tomba di Stazio Trebio, il cui funerale si era svolto solo il giorno prima. Vengono colpiti dai ladri, ma poi riportati a casa salvi da dei contadini. E non appena si riprendono, tornano subito al cimitero…

Il cielo volgeva a un azzurro stinto, ma il sole non era ancora sorto. Le ombre si addensavano tra i cespugli e sotto gli alberi.

Il vento si era un po’ calmato, ma ho dovuto proteggere la fiamma della lucerna con la mano. Gli ultimi fiori rimasti sulla sepoltura di Stazio Trebio il Vecchio erano stati spazzati via dalle raffiche… o forse da qualcos’altro. Una mano energica e impaziente, guidata da una coscienza piuttosto sporca.

Credevo di conoscerla.

«Vieeniii con meeee nell’oltretombaaaaaaa…» ho sussurrato con voce sepolcrale quando le sono arrivato alle spalle.

Lo confesso: perfino in quel momento, al colmo del pericolo, mi sono goduto fino in fondo il salto che ha fatto Laria. Le vecchie rivalità fraterne sono dure a morire.

«Sei scemo? Se urlassi ci faremmo subito beccare!» è sbottata in un sibilo infuriato.

Stava scavando nel terriccio soffice a mani nude. Aveva la testa fasciata, ma per il resto pareva in forma.

«A questo ritmo, quando avrai finito sarai un fantasma anche tu» le ho fatto notare. Le ho passato la zappa e mi sono messo a rovistare nella terra smossa con la vanga. «Cosa stiamo cercando?»

«Non l’hai ancora capito?»

L’abbiamo detto nello stesso momento: «Il vaso di bronzo

«Faceva parte del corredo del vecchio Stazio.»

«È stato sepolto con lui.»

«E qualcuno voleva rubarlo.»

«Facendosi passare per il Guerriero Fantasma.»

«Probabilmente si è spalmato la faccia e i capelli con l’argilla bianca e ha annerito le labbra col carbone o col succo di mirtillo.»

«Se qualcuno l’avesse visto sarebbe scappato a gambe levate!»

«Tutti tranne noi.»

«Tranne noi» ho ripetuto io. «Siamo forti!»

«Nessuno batte i gemelli Numisii.»

Ci siamo scambiati il primo sorriso degli ultimi anni. Poi abbiamo ripreso a scavare.

Il ladro aveva riammucchiato terra e sassi sulla tomba alla rinfusa, ma non aveva avuto il tempo di completare il lavoro. Non ci è voluto molto prima che dal buio si levasse un bagliore di metallo.

Ho sentito il cuore battere così in fretta da togliermi il respiro, un po’ per l’eccitazione e un po’ – più che un po’, in effetti – per il pensiero agghiacciante del defunto Stazio Trebio che ci aspettava là sotto, mangiucchiato dai vermi e irritato dalla nostra profanazione. Brr!

Io e Laria ci siamo scambiati un’occhiata d’intesa. Una manciata di terra dopo l’altra, il grande vaso di bronzo è emerso alla luce stinta dell’alba, scintillante e bellissimo anche sotto le incrostazioni di sporco.

Laria ha soffiato delicatamente per ripulirlo. «È magnifico. Oggi non si lavora più il bronzo così» ha sussurrato.

Anch’io ero senza fiato. Non avevo visto molti oggetti così preziosi in vita mia.

«Ma perché il ladro l’avrà lasciato qui?» ho chiesto.

«Perché noi abbiamo rovinato i suoi piani» ha detto Laria compiaciuta. «Abbiamo urlato e il suo complice è stato costretto a colpirci per chiuderci la bocca. Ma a quel punto la faccenda era diventata troppo rischiosa. Poteva arrivare qualcuno da un momento all’altro, e un vaso di queste dimensioni non si può nascondere sotto il mantello; così l’hanno ricoperto di terra per tornare a prenderlo al momento opportuno.»

Ho alzato gli occhi al cielo che si tingeva pian piano di rosa. «Dobbiamo sbrigarci, allora. Tra poco sarà giorno.» Ho sollevato il vaso con una certa fatica. «Accidenti quanto pesa! Sarà meglio nasconderlo in un posto sicuro e trovarci un riparo con una buona visuale per… cosa stai facendo?»

Laria aveva ripreso a scavare furiosamente, a due mani, come un cane.

«Il ladro si è già portato via il resto del corredo» le ho ricordato.

«Non mi importa un fico secco del corredo.» Ha sbattuto un pugno nel terriccio, ansimando. Non l’avevo mai vista così agitata. «Maledizione! Dove sono andati a finire?»

«Ma di cosa parli?»

Lei non mi ha risposto. Comunque non c’era più tempo. A oriente, sopra le montagne, il cielo indorava rapidamente; nel silenzio profondo dell’aurora è risuonato un lontano concerto di belati, insieme al fischiettio del pastore.

Ho afferrato mia sorella per un braccio e l’ho strattonata. «Laria, dai, dobbiamo nasconderci!»

Lei ha fatto resistenza per un momento, poi si è morsa il labbro, ha sferrato un calcio rabbioso alle zolle di terra e si è lasciata trascinare via.

Poco dopo eravamo rannicchiati fianco a fianco nell’erba, nascosti dal fogliame fitto di un viburno. Non abbiamo dovuto aspettare a lungo. Il primo raggio di sole non si era ancora affacciato oltre le cime quando due uomini sono emersi dal boschetto al margine opposto della necropoli. Entrambi indossavano mantelli col cappuccio tirato sulla testa, ma la stazza di uno dei due, alto come il compagno ma ben più massiccio, ha richiamato un vago ricordo nella mia memoria.

Quando hanno raggiunto la tomba di Stazio Trebio, quello che sembrava il capo è sbottato in un’imprecazione che ho riconosciuto all’istante. Il suo compare ha scaricato a terra gli attrezzi da lavoro e, senza una parola, ha cominciato a spalare la poca terra rimasta.

Un movimento particolarmente vigoroso gli ha fatto scivolare il cappuccio dalla testa rasata.

«Sssh!» ha bisbigliato Laria, sentendomi sussultare.

Lo scavatore ha proseguito per un bel po’, spronato dagli ordini sempre più secchi del capo, ma alla fine ha dovuto arrendersi. Il vaso non era più lì.

I due hanno perlustrato i dintorni, frugando nei cespugli con un bastone. Ho trattenuto il respiro finché non li ho visti raccogliere gli attrezzi e tornare da dov’erano venuti.

Il sole faceva ormai capolino in un cielo azzurro terso. Io e Laria ci siamo guardati in faccia.

Mia sorella aveva l’aria delusa e segni profondi sotto gli occhi. «Li hai riconosciuti?» mi ha chiesto sfiduciata.

«Ah-ah. Ci conviene tornare a casa e farci una bella dormita. E poi chiederemo a papà di lasciarci parlare con Mamerco. Penso che avremo una serata… interessante.»

Laria mi ha fissato e, per la prima volta da quando siamo nati, ho letto nel suo sguardo una sfumatura di rispetto.

Ho raccolto zappa e vanga e mi sono incamminato per primo sulla strada di casa, col sole nascente che mi scaldava le spalle.

Quest’avventura sta ristabilendo gli equilibri tra i due fratelli. Maio dimostra acume e coraggio non banali. E forse comincia a nutrire sospetti su come sono andate effettivamente le cose. Pronti a scoprirlo anche voi?

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Autore

  • Giorgia Cappelletti

    Archeologa di formazione, scrittrice per hobby. Fino ad oggi ho scavato, lavorato in un museo, diretto laboratori per bambini, prodotto libretti divulgativi, insegnato greco e latino, scritto brani ed esercizi per le antologie scolastiche, e probabilmente qualcos'altro che ora mi sfugge. Guardo molti anime e vorrei vivere nel castello errante di Howl (ma senza di lui).

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