San Cataldo, la romana Salapia, il porto sul tacco della penisola che l’imperatore Adriano molto ampliò. Un drone vola sopra le strutture sommerse del porto mentre a terra tante persone indossano i visori VR. Guardano ciò che il drone riprende dall’alto, e d’un tratto sopra le poche pietre antiche rimaste vedono ‘sorgere’ gli edifici portuali d’un tempo. Insomma agli occhi dei visitatori il virtuale si sovrappone al reale. In volo. La novità è proprio questa: la realtà aumentata (così si chiama il virtuale che si ‘aggrappa’ al reale) si sposa ai droni per farci volare sopra le città antiche e mostrarcele al contempo come sono adesso e com’erano in antico.
Droni e archeologia
Generalmente i droni in archeologia si usano per la ricerca, e finora nessuno aveva ancora pensato di sfruttare l’esplorazione aerea per la comunicazione: mettere le ali ai visitatori e farli volare sopra le aree archeologiche, oltre che percorrerle a piedi. Un’impresa spericolata che però non intimorisce due giovani ingegneri dell’Università del Salento, Gianpaolo D’Errico e Maria Concetta Botrugno, e neppure il loro docente Lucio De Paolis dell’AVR lab della stessa università, struttura all’avanguardia per l’applicazione di realtà virtuale e aumentata in diversi settori tra cui la medicina in primis, ma anche i beni culturali.
I tre ingegneri ci stanno lavorando, non sono ancora giunti al risultato finale. Tuttavia sono già sulla strada giusta: la tesi di laurea di Gianpaolo e Maria Concetta è una buona approssimazione. AVRlab ha fatto un accordo con la società cinese DJI che ha messo a disposizione i propri droni ‘di punta’, e con il Laboratorio di topografia antica della stessa università salentina che ha fornito le ricostruzioni virtuali. Al momento con i visori si può vedere quel che il drone riprende e, in box dedicati, le corrispondenti ricostruzioni virtuali geolocalizzate e un’infinità di informazioni. Ma il salto alla realtà aumentata non sarà facile perché qui non siamo in un museo, un ambiente chiuso.

AVR lab: al lavoro sui droni
Le difficoltà in ambiente aperto
In ambienti chiusi per la procedura del tracking, cioè l’identificazione della scena in base alla posizione dell’utente, si usano i cosiddetti marker: il visitatore punta il visore sul marker e il programma capisce dov’è. In ambiente aperto, invece, con condizioni di luce variabili, si sfruttano GPS e sensori, ma entrambi non riescono tuttavia a fornire la precisione che la realtà aumentata richiede. Non ancora, però: Gianpaolo e Maria Concetta promettono meraviglie!
“Sono appassionato d’arte e archeologia, anche se ho scelto di fare l’ingegnere, e sono un fan della realtà aumentata. Quindi ho subito pensato di fondere le mie passioni applicando le conoscenze tecniche alla comunicazione dei beni culturali”, racconta Gianpaolo. E l’idea dei droni è venuta per caso, mentre ragionava con De Paolis su possibili argomenti per la tesi di laurea. D’improvviso si è accesa in entrambi la lampadina. “Non avevo mai toccato un drone prima, e la partnership con il Laboratorio di topografia è servita anche perché loro hanno già piloti autorizzati. Ma ora sto per prendere il brevetto anch’io”.
Passione, intraprendenza, voglia di farcela, e buone idee: Gianpaolo e Maria Concetta hanno tutto questo, e si stanno costruendo passo passo il loro futuro nel mondo dei beni culturali. Ce la faranno? Chissà. Intanto però hanno cominciato col piede giusto.
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