A Torino, la mostra Archeologia Invisibile: le mummie ai raggi-x

25 Marzo 2019
Al Museo Egizio di Torino, la mostra Archeologia Invisibile indaga, grazie all’uso della tecnologia più recente, le storie dei reperti archeologici più celebri del museo

Biografie degli oggetti

Ogni oggetto, dal più umile al più prezioso, ha una storia. Se un giorno degli ipotetici archeologi del IV millennio dovessero trovare un orologio da taschino, un pennello o un disco in vinile dei giorni nostri, cercherebbero di ricostruirne la funzione, l’utilizzo e, appunto, la storia.

Allo stresso modo gli archeologi e i conservatori del Museo Egizio di Torino, nella mostra appena inaugurata Archeologia Invisibile, cercano di ricostruire le vicende di alcuni dei reperti più celebri del museo, andando oltre la semplice apparenza e servendosi delle tecnologie di ultima generazione per svelare ciò che altrimenti rimarrebbe nascosto e ignoto. Il risultato è davvero sorprendente.

Dallo scavo…

La prima parte della mostra è dedicata allo scavo archeologico, dove la scoperta ha inizio. Tutto ciò che troviamo in un museo è stato lasciato più o meno volontariamente in un contesto specifico, che lo scavo necessariamente altera e rimuove. Per questo motivo è fondamentale l’attività di documentazione dello scavo, che deve essere il più precisa possibile.

Quando, agli inizi del Novecento, l’egittologo Ernesto Schiaparelli scoprì la tomba intatta dell’architetto reale Kha e di sua moglie Merit nei pressi del villaggio di Deir el-Medina a Tebe, aveva a disposizione una macchina fotografica che allora era l’ultimo ritrovato tecnologico. Oggi invece, grazie all’uso della fotogrammetria (ovvero la ricostruzione dei dati metrici e della posizione di un oggetto mediante fotogrammi), è possibile ottenere un modello tridimensionale del sito e presentarlo al pubblico, altrimenti impossibilitato a raggiungerlo ed esplorarlo.

archeologia invisibile mummia di Merit

Screenshot tratto dallo sbendaggio virtuale della mummia di Merit. Resti organici e lino; Nuovo Regno, fine XVIII dinastia (ca. 1425-1353 a. C.). Scavi Schiaparelli 1906 (Deir el-Medina, tomba di Kha e Merit).

…all’archeologia invisibile

La seconda fase del processo di disvelamento è l’analisi approfondita dei reperti trovati nello scavo. Saggiamente Schiaparelli aveva deciso di non sbendare le mummie di Kha e Merit, conscio che in un futuro non troppo lontano la tecnologia avrebbe saputo indagare all’interno dei bendaggi. E così è, infatti. Grazie a TAC e radiografie, oggi conosciamo l’aspetto dei due coniugi, sorprendendoci di quanto sia ricco il loro corredo di gioielli celati dalle bende.

Anche gli animali venivano mummificati per accompagnare il defunto nell’Aldilà. Non è tutto oro ciò che luccica, però: le radiografie svelano anche mummie non proprio ‘sincere’, che contengono solo piccole porzioni del corpo dell’animale e ne simulano il resto con argilla e paglia.

…al restauro

L’ultima sezione della mostra è dedicata al restauro, procedimento altrettanto importante per rendere leggibile il reperto archeologico. Anche in questo caso la tecnologia offre un grande aiuto. Per esempio, l’analisi dell’inchiostro utilizzato nella scrittura dei papiri consente di comprenderne la provenienza e il materiale di cui è composto, e agire in maniera mirata per la sua conservazione.

Sono numerosissime le collaborazioni che il Museo Egizio può vantare nell’ambito della ricerca scientifica e del restauro, formando così una formidabile rete di esperti all’avanguardia: dal Centro Conservazione e Restauro “La Venaria Reale”, al Massachussets Institute of Technology, ai Musei Vaticani, per citarne solo alcuni. L’audioguida della mostra realizzata dalla Scuola Holden di Torino è veramente molto piacevole.

archeologia invisibile mummia Kha

Tac (dettaglio) della mummia di Kha. Nel dettaglio: orecchini, collare, amuleti, collana con scarabeo e bracciali.
Resti organici e lino; Nuovo Regno, fine XVIII dinastia (ca. 1425-1353 a. C.). Scavi Schiaparelli 1906 (Deir el-Medina, tomba di Kha e Merit).

Tra mummie e installazioni video

Ma il pregio maggiore della mostra è l’aver perfettamente integrato i reperti archeologici con un impianto multimediale degno dei migliori effetti speciali di Hollywood. Il responsabile del progetto video, Riccardo Antonino, ci ha raccontato il grande lavoro del suo team, il Robin Studio:

“Volevamo evitare il classico approccio ‘a slide’ dove ogni concetto e immagine viene rappresentato con una sola inquadratura, come ad esempio un piccolo dettaglio accompagnato dalla sua didascalia. Volevamo trovare un modo per passare dal grande scavo al piccolo reperto, dalla rappresentazione di un sarcofago nello spettro visibile alla sua radiografia, tutto in un unico flusso narrativo continuo sin dal momento in cui lo spettatore fa il suo ingresso in sala.

Per farlo, abbiamo iniziato elaborando i modelli fotogrammetrici dei reperti con la tecnica della retopologia, ovvero creare una mappa dell’incidenza della luce ed elaborare le immagini multispettrali affinché seguano la geometria dell’oggetto. In questo modo i modelli risultavano più leggeri da manipolare e facili da leggere per software in grado di eseguire delle restituzioni grafiche.

Successivamente, grazie all’utilizzo dei software Element 3D e After Effects, abbiamo potuto integrare in maniera molto rapida contenuti grafici, testi bidimensionali e modelli 3D, inserendoli negli storyboard precedentemente concordati con i curatori. I video risultanti sono dei loop perfetti, che hanno nella ‘point cloud’ (la nuvola di punti che si genera con i software di fotogrammetria) il loro punto di raccordo.

archeologia invisibile coccodrillo

Mummia di coccodrillo avvolta in bende e in una stuoia di canne con la sua radiografia. Come si vede, l’animale è assai più piccolo della sua mummia. Resti organici, lino e canne; datazione e provenienza incerte. Collezione Drovetti 1824

La nuvola di punti rappresenta il ‘ghost’, ovvero l’anima dell’oggetto creata con tutti i dati che definiscono la sua biografia e il suo passato. Nell’ultima sala, il videomapping su una riproduzione in stampa 3D del sarcofago dello scriba Butehamon – straordinario reperto di proprietà del Museo Egizio – prende vita sulle note della colonna sonora del film Interstellar.

Mentre sul sarcofago si alternano una dopo l’altra le immagini delle analisi condotte su di esso e della sequenza costruttiva e pittorica, sugli schermi laterali la nuvola prende gradualmente le sembianze degli artigiani che l’hanno costruito, in un continuo pendolo tra il cercare di prendere forma, il trascendere i confini dello spazio e del tempo e l’indeterminazione data dall’impossibilità di ricostruire perfettamente un contesto cancellato da migliaia di anni di storia.

È un concetto non semplice da rappresentare con le immagini ma che, grazie al motion capture e all’emozione che la musica di Hans Zimmer è in grado di creare, riesce forse a instillare nello spettatore un piccolo barlume di consapevolezza del valore della memoria e del patrimonio della cultura materiale”.

Non solo teche e polvere

La mostra è dunque riuscita a dimostrare l’estrema attualità e spettacolarità dell’archeologia. Oggi stiamo vivendo – come afferma lo stesso direttore del museo Christian Greco afferma – un ‘umanesimo digitale’ capace di ridare nuova vita a oggetti antichi, sepolti, dimenticati e poi riportati alla luce. Questa riscoperta, però, non è fine a se stessa, e il profondo lavoro di ricerca scientifica sull’invisibile, magistralmente documentato dalla mostra, rende visibile il filo al quale ogni essere umano di ogni tempo è appeso.

 

Archeologia invisibile
a
cura di Enrico Ferraris
Torino, Museo Egizio, via Accademia delle Scienze, 6
dal 12 marzo 2019 al 6 gennaio 2020
Apertura: lunedì ore 9/14 – da martedì a domenica ore 9/18,30
Info: www.museoegizio.it, +39 011 5617776, info@museoegizio.it
Catalogo Franco Cosimo Panini

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