Archeologia della psicosi: il videogioco Hellblade, Senua’s sacrifice

18 Ottobre 2018
Un videogioco che esplora il disturbo psicologico facendo vivere al giocatore un’esperienza di immedesimazione unica, e usando un’ambientazione storica: benvenuti a Hellblade

Hellblade: viaggio nella psicosi

Raramente, nell’immaginario collettivo, si è portati a pensare al videogioco come mezzo espressivo di contenuti profondi, sensibili e poco conosciuti. Se la maggior parte dell’industria videoludica si concentra sul mainstream, proponendo titoli di puro intrattenimento, vi sono però esempi luminosi in controtendenza. Hellblade: Senua’s sacrifice, videogioco sviluppato dalla casa produttrice britannica Ninja Theory, rientra tra questi.

Pensato per offrire una forte esperienza sia visiva che emotiva, in Hellblade il giocatore, nei panni di una guerriera celtica dell’VIII secolo di nome Senua, compie un viaggio attraverso il regno dei morti della mitologia norrena (chiamato Helheim e dimora di tutti coloro che sono morti senza gloria) per riportare indietro l’anima del proprio defunto marito Dillion ucciso durante una razzia dai vichinghi e per affrontare la ‘maledizione’ che la perseguita fin da bambina: soffre infatti di allucinazioni visive e uditive. Questa condizione psicologica oggi viene chiamata psicosi ed è un tema molto delicato che romanzi e film affrontano di rado, e un videogioco quasi mai.

Hellblade

Hellblade – foto imgur

Una protagonista sopra le righe: Senua

Il nome Senua, come gli stessi sviluppatori affermano, è stato ripreso da una divinità celtica di recente scoperta, Senuna, erroneamente nominata in un primo tempo proprio Senua. Il personaggio appartiene a una tribù pitta (un antico popolo celtico dell’attuale Scozia, i cui guerrieri erano noti nell’antichità per avere il corpo quasi completamente colorato con pitture di guerra) situata sulle isole Orcadi.

A causa della propria psicosi, Senua venne allontanata dalla sua comunità. I Celti credevano infatti che i disturbi della mente fossero provocati da maledizioni, da traumi di guerra o da lutti dolorosi; chi ne era colpito veniva chiamato geilt e costretto a vivere nei boschi per purificarsi.

Il team di Ninja Theory ha affrontato il problema della psicosi affidandosi a esperti (come ad esempio Paul Fletcher, psichiatra e professore a Cambridge, e Charles Fernyhough, uno dei massimi esperti di psicopatologie e professore a Durham) e a persone realmente affette da tale disturbo in modo da essere il più realistici possibile.

Nel corso del gioco, infatti, assistiamo spesso a momenti di ‘crisi’ della protagonista che le causano deliri e che distorcono visivamente l’ambiente: i colori si scuriscono, i rumori diventano più sinistri e cupi, le voci si intensificano. Inoltre, proseguendo con la trama e avvicinandosi al termine del tetro viaggio, si comprendono i traumi profondi che hanno portato Senua a soffrire di questi disturbi.

Ciò ha reso il personaggio estremamente sfaccettato, complesso e capace di far immedesimare il videogiocatore, anche grazie a un comparto audio incredibilmente evocativo (le voci sentite da Senua sono state registrate con speciali microfoni 3D, in grado di riprodurre la direzione da cui proviene il suono e la lontananza: è fortemente consigliato utilizzare delle buone cuffie) e all’utilizzo della motion capture per rendere graficamente le espressioni e i movimenti della performer Melina Juergens (non un’attrice professionista, ma la video-maker della Ninja Theory).

Hellblade

Hellblade – foto imgur

Ambientazione e gameplay

Oltre alla protagonista, di grande effetto sono le ambientazioni e la qualità grafica. Colpiscono, fin dai primi minuti di gioco, l’assenza totale di interfaccia e la mancanza di un classico ‘tutorial’ (ovvero la spiegazione dei comandi e delle azioni) che consentono una forte immedesimazione e un’esperienza libera da condizionamenti esterni in grado di spezzare la fluidità della narrazione.

A fornire al giocatore una sorta di guida in-game sono proprio le allucinazioni uditive, le voci che la protagonista sente continuamente e che permettono, se ascoltate con attenzione, di anticipare e risolvere le situazioni. Il gioco comincia in medias res, con Senua che approda su un litorale desolato alle porte del regno dei morti. Come abbiamo detto il suo obiettivo è riportare in vita l’amato marito Dillion, e per farlo deve affrontare la dea della morte Hela, unica in grado di resuscitare i morti, e sconfiggerla.

Di sicuro effetto è la scelta di far immergere fin da subito il giocatore nella cupa e lugubre atmosfera di Helheim, dove più che situazioni spaventose e ‘infernali’ nel senso moderno del termine, ciò che colpisce sono la desolazione e la solitudine. Unica vivente a camminare per i sentieri di Helheim, Senua passa tra filari di cadaveri e carcasse inanimate, case diroccate, ponti crollati e scheletri di drakkar, le imbarcazioni vichinghe, arenati sulla spiaggia.

La cura nei dettagli si vede sia nella qualità grafica (definita di categoria AAA come titoli di punta di case produttrici molto più grandi e con molto più budget), sia nella scelta di corredare la trama con leggende norrene, raccontate dalla voce di un bardo amico della protagonista (ad esempio la storia di Sigurd o l’epopea del Ragnarök).

Attraverso rompicapi, combattimenti e monologhi (o dialoghi) interiori di grande efficacia emotiva, Senua arriverà infine al termine del suo viaggio, momento che -evitando fastidiosi spoiler per chi voglia goderselo appieno- raggiunge un climax di grandissimo spessore.

Hellblade - foto imgur

Hellblade – foto imgur

In sintesi

Hellblade: Senua’s sacrifice per molti versi travalica i canoni classici del videogioco per trasportarci in un mondo nuovo dai confini non definiti, il territorio del disturbo psicologico, attraverso un’ambientazione fortemente evocativa e un’esperienza di immedesimazione unica nel suo genere.

Pochi infatti sono i titoli paragonabili a questo per intensità raggiunta, e il videogame può sicuramente essere un buon punto di partenza per superare il pregiudizio del videogioco come mezzo inadeguato per esprimere contenuti profondi; del resto era proprio questo l’obiettivo principale del team di Ninja Theory.

Unico neo, che comunque non ne lede affatto la qualità, è una eccessiva ripetitività delle situazioni affrontate, nonché una sostanziale facilità di gioco; punti trascurabili, se si pensa che il tempo di gioco complessivo non supera le 7 ore e che il gameplay è sicuramente la componente meno importante nell’ottica degli sviluppatori.

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