Palmira, distruzioni di ieri e di oggi
Il valore del rispetto
In realtà, nel XXI secolo i dati dovrebbero essere liberamente a disposizione di chiunque, vero patrimonio dell’umanità, però sì, nell’attesa che ciò avvenga, appartengono innanzitutto ai siriani e non di certo a truffatori occidentali. “Sono onorato della possibilità che ho avuto di vivere per tanti anni a contatto con la gente della Siria, e conoscerla veramente.”
Come ‘ricostruire Palmira’ quando la guerra finirà?
È chiaro da che parte stia Matthiae nell’attuale conflitto siriano, ma ogni sua osservazione è in realtà lucida ed equilibrata. Che fare quando la guerra finirà, come ricostruire? Sono indispensabili tre condizioni: innanzitutto la sovranità della Siria. Il principio di sovranità deve valere per tutti e non per alcuni paesi sì, e per altri no. Poi il coordinamento dell’Unesco che è voce forte internazionale, indispensabile per autorevolezza e capacità di influenza. Infine la collaborazione di tutta la comunità internazionale, tutta assieme senza prevalenza di americani, tedeschi o russi. Collaborazione che deve servire a “far sì che gli dei di Palmira vi ritornino”. Nella Mesopotamia antica, quando una città veniva distrutta dal nemico, si diceva “il suo dio l’ha abbandonata”. A Palmira che è oramai simbolo del paese, e nella Siria tutta, devono tornare gli stessi dei, le genti e lo spirito che vi hanno sempre abitato.
Si è discusso tanto di ricostruzione all’indomani della riconquista di Palmira da parte delle truppe governative (e russe). Chiamata a parlare, ho dovuto dire quanto ciò mi sia parso indelicato e prematuro mentre il conflitto era ed è ancora in corso. Un atteggiamento coloniale teso ad accaparrarsi quelle posizioni che Matthiae aveva appena definito il pericolo peggiore per il paese. Per non parlare dell’attenzione quasi esclusiva per i monumenti, come se Palmira fosse quelli e null’altro.
Beni culturali e giustizia di transizione
Tuttavia è giusto guardare al futuro e ho voluto, in aggiunta e a sostegno delle parole di Matthiae, presentare alla Sapienza la proposta di due giovani studiose, l’archeologa Emma Cunliffe e la giurista Marina Lostal, pubblicata il 26 aprile nella rivista The Historic Environment: Policy & Practice. Spiegano come i beni culturali dovrebbero essere inclusi nella cosiddetta giustizia di transizione, cioè quei processi di giustizia criminale e ricostruzione che mirano a far tornare la normalità morale, prima che materiale, dopo i conflitti. I crimini contro il patrimonio culturale dovrebbero essere valutati e perseguiti al pari degli altri. E la ricostruzione dei monumenti non dovrebbe seguire binari diversi dalla ricostruzione civile. L’esempio del ponte di Mostar è oramai un classico di ricostruzione simbolica voluta dall’occidente senza la partecipazione locale, che è servito ad alimentare più che a sopire i conflitti. Infine l’ansia di ricostruzione rischia di ignorare totalmente i monumenti e distruggerli più della guerra, com’è accaduto per esempio a Beirut “che oramai è precisa identica a Toronto”, a detta di Matthiae.
Anziché preoccuparci del solo Arco di trionfo di Palmira o del tempio di Baalshamin, noi professionisti dei beni culturali dovremmo far capire alla comunità internazionale che oggi i monumenti, così come giocano un ruolo significativo nei conflitti, devono essere anche parte integrante delle ricostruzioni. Sono elemento imprescindibile delle nostre vite perché ci parlano quotidianamente della nostra storia e delle nostre diversità, e soprattutto i siriani questo lo sanno e lo vivono da sempre. Il messaggio che Lorenzo Nigro voleva far emergere da questo incontro è stato dichiarato chiaro e forte: dobbiamo ‘salvare Palmira’ dalla guerra, ma ancor più dai pericoli di una ricostruzione inadeguata sia ai monumenti che alla gente.
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