Con le nuove didascalie, il Museo della Fondazione Querini Stampalia ha fatto centro. Sono chiare, precise, della lunghezza giusta. Ma soprattutto, svelano un mondo, quello della vita in una casa patrizia veneziana. Sono didascalie ‘immersive’. E non solo: narrando la vita nel passato, invitano alla riflessione sull’oggi. Insomma fanno bene il loro mestiere, perfettamente in linea con il ruolo di ‘machina per pensare’ del museo contemporaneo.
Le didascalie sono trasparenti
È raro trovare didascalie che ‘fanno il loro mestiere’. Rarissimo. Perché le didascalie sono il ‘biglietto da visita’ di un museo in molti sensi. Sono il livello primo di comunicazione, quello che si rivolge a tutti i visitatori e contiene il messaggio ‘forte’ che il museo vuole trasmettere loro. E proprio per questo sono lo specchio del museo stesso, di come è concepito e organizzato. Le didascalie sono trasparenti, non mentono.
Tuttavia i musei oggi stanno vivendo una grande trasformazione da luoghi di contemplazione a spazi da vivere, piazze civiche dove si costruiscono comunità capaci di riflettere sul passato e su sé stesse. E non tutti hanno completato questo difficile processo. La maggior parte è in mezzo al guado, magari incerta su come proseguire, o incapace di abbandonare schemi consolidati. Sperimenta, fiuta idee e prospettive.
Ecco perché oggi è difficile trovare didascalie ‘solide’ che rivelano la piena apertura del museo al mondo. Perché tale apertura non è ancora chiara. Non è ancora completato il passaggio dalla trasmissione alla condivisione di conoscenze, dall’informazione al ragionamento corale. Non è assimilato al punto da finire nero su bianco nelle didascalie. È palese durante le visite guidate, gli incontri e i progetti educativi, e ciò dà al museo l’illusione di essere aperto a tutto e tutti. Ma non è così perché le parole volano. Il cambiamento deve risultare evidente anche da ciò che è scritto e perciò più duraturo, le didascalie.
Querini Stampalia un lavoro lungo
Sono andata alla Querini Stampalia perché avevo letto e apprezzato il volume del 2020 Senza titolo. Le metafore della didascalia (a cura di Maria Chiara Ciaccheri, Anna Chiara Cimoli e Nicole Moolhuijsen, Nomos edizioni, euro 14,50), esito di una serie di seminari sulle didascalie ospitati dal Museo. Un capitolo del libro parla proprio del processo di rinnovamento avviato dal Museo stesso, ma allora non si poteva ancora apprezzare l’esito ultimo di tale processo. Da giugno scorso finalmente sì. Ero curiosissima.
La Querini Stampalia è una casa-museo che conserva grandi capolavori. E fino a ieri l’attenzione era su questi ultimi: Giovanni Bellini, Palma il Giovane, Pietro Longhi. Le didascalie si concentravano, con linguaggio semplice ma comunque tecnico, sull’arte dei maestri. Ora invece si concentrano sulla vita nella casa. Presentano i suoi abitanti così come si sono succeduti negli anni – sia nobili che servitori, narrati in belle vetrofanie – e usano i capolavori per presentare in ogni sala un tema.
Storie di vita
Narrano le prospettive di lavoro degli uomini di famiglia; quelle delle donne tra matrimonio programmato e convento; narrano poi come si svolgevano i pranzi, come si accoglievano gli ospiti, le feste. Sono tutte informazioni sintetiche, precise, concrete, ricche di curiosità. Il matrimonio, per esempio, è narrato dai ritratti di Francesco Querini e la sua sposa Paola Priuli, opere di Palma il Giovane. Ritratti che, si spiega, venivano eseguiti prima del fidanzamento perché i due sposi si vedessero, almeno in immagine. Si parla anche dell’arte del pittore (tra l’altro, i due ritratti non sono terminati), ma questa è inserita nel racconto intimistico di due giovani che non si conoscono e destinati a condividere la vita. E in quello più generale sulla difficile vita delle donne in una società patriarcale.
Che dire poi della Sala della mitologia dove si racconta come l’amore omosessuale sia sempre esistito? Punito dalla legge ma con punizioni nei secoli sempre meno severe, e sempre più accettato da tutti, specie nella libertina Venezia del Settecento. Che sceglieva spesso tali amori, così come li hanno narrati i miti antichi, come soggetti per pitture e decori. Sono tutte informazioni precise e concrete che danno corpo al mito della Venezia settecentesca, e al contempo forniscono dati storici per riflettere su un tema al centro del dibattito d’oggi.
Un viaggio nel tempo
Si esce dal Museo Querini Stampalia con l’impressione di aver fatto un vero viaggio nel tempo. Di aver trascorso qualche ora nell’abitazione di nobili della Serenissima. Ci si sente un po’ veneziani di allora con tutti i loro riti e aspirazioni, successi e tensioni sociali. È in fondo quel che ogni visitatore cerca nei musei della città, ma che difficilmente trova. Oggi si usa tanta tecnologia per ottenere effetti immersivi, ma questo Museo ha dimostrato una volta di più che serve un’idea, prima della tecnologia. E se l’idea è buona, funziona anche con ‘semplici’ didascalie.
È chiaro che il cambio di passo alla Querini Stampalia è frutto di un ascolto preciso delle aspettative ed esigenze dei visitatori, che ha portato a un lavoro di studio e costruzione di un percorso di visita coerente. C’è stato un ribaltamento di prospettiva, innanzitutto nelle menti dei curatori. Sarà interessante ora conoscere le reazioni dei visitatori per capire se e quanto questo grande sforzo viene apprezzato. Attendiamo notizie dal Museo quanto prima.
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