Le notti di Roma

30 Ottobre 2020
Un personaggio equivoco si aggira di notte per la città. Le notti di Roma sono pericolose e lui ancor di più. E ha una meta…

Le notti a Roma sanno di vento e cenere. Fumo di legna, letame fresco dei muli, urina dei pitali svuotati dalle finestre.

Ma più di ogni altra cosa, le notti a Roma sanno di sangue.

L’uomo lo fiuta mentre cammina per vicoli deserti, avvolto nel mantello. I pochi che lo vedono passare distolgono lo sguardo e chiudono le imposte. Di notte, la città appartiene ai ladri e agli assassini. Di giorno, a ladri e assassini in toga.

Lui lo sa, perché è uno di loro.

Un vecchietto imbacuccato fino alle orecchie sta buttando scarti e ossa di pollo direttamente sulla strada, affacciato a un balconcino di legno che sembra lì lì per crollare sotto le raffiche di vento. Lo vede, si blocca col piatto in mano. L’uomo sorride sotto il cappuccio. Un sorriso lento e affilato come una lama che esce dalla guaina. Il vecchio freddoloso non può vederlo in faccia, ma l’uomo sente l’odore della sua paura, il sudore acre sotto la tunica di lana. Prima che possa assaporarlo appieno, la moglie del vecchio compare sul ballatoio e lo tira in casa. Pensano che lui sia pericoloso.

Hanno ragione.

Purtroppo non può fermarsi: stanotte ha un appuntamento che gli è costato mesi di sguardi, sorrisi, biglietti segreti e regalini da qualche migliaio di sesterzi. Lollia lo aspetta in un piccolo padiglione nei giardini della sua famiglia, sull’Esquilino. Un’idea sua, per ‘conoscersi meglio’ prima di raggiungere gli amici a un banchetto, in casa di un ricco banchiere di cui lui non ricorda neppure il nome.

Non importa. Tanto, a quella festa non arriveranno mai.

La strada prende a salire, la suola consumata dei calzari scivola sul lastricato. L’uomo prende un respiro profondo, sforzandosi di non ringhiare. La luna è nascosta dalle nuvole, ma lui la sente sorgere con ogni nervo del corpo, teso allo spasimo. La sua fame sta crescendo. Il desiderio si è fatto smania.

Attraversa la necropoli quasi di corsa. Cippi illeggibili, mangiati dai rovi, edicole diroccate e mattoni affondati nell’erba alta. Gli odori lo assediano da ogni lato. Terra umida, vecchia pietra, legna bruciata, oli profumati che non riescono a nascondere il sentore dolciastro dei fiori marci. Il vento porta l’odore dei corpi addormentati, laggiù nella città. Migliaia e migliaia di pecore convinte di essere leoni, un’immensa tavola imbandita con carne viva, tenera e pulsante…

Finalmente, ecco le siepi e le statue degli horti Lolliani. L’uomo si inoltra silenzioso sull’erba soffice, attento a ogni rumore. Il padiglione si affaccia sulla riva di un laghetto. Due torce accese affiancano l’ingresso per aiutare a orientarsi nell’oscurità. Come se lui ne avesse bisogno!

Ed ecco Lollia, distesa su un lettuccio sapientemente piazzato tra i bracieri accesi. Sorridente, profumata, ingioiellata fino ai capelli… e sola. L’uomo sente riaffiorare il suo sorriso da lupo. Sarà perfino più facile del previsto.

“Benvenuto!” lo accoglie lei, porgendogli una coppa di vino. È vestita di seta impalpabile, in una ventosa notte autunnale, eppure sembra perfettamente a suo agio. “Vorrei mostrarti la proprietà, ma fa troppo buio. E poi, diciamolo: non è per questo che sei qui, giusto?”

No, infatti. Lui si guarda furtivamente alle spalle. Niente schiavi, nessun accompagnatore. Quanto sono stupide queste nobildonne, pensa: allo stesso tempo ingenue e arroganti, convinte come sono di avere il mondo in mano. Una popolana non sarebbe mai una preda altrettanto facile.

Lollia gli fa posto sul lettuccio, versa altro vino da una brocca d’argento. La conversazione è leggera e frizzante: commentano le vicende coniugali di amici comuni, la nuova acconciatura della moglie del console, la brutta caduta di un campione del circo a un passo dalla vittoria. Ridono del marito di lei, che la crede al sicuro nella sua bella domus. L’uomo sta al gioco, ma il suo respiro si fa sempre più affrettato, la voce roca. Se solo Lollia sapesse quanto gli costa questa recita. Svuota un bicchiere dopo l’altro, ma non serve a nulla. La sete che lo consuma dentro non si può spegnere col vino.

Il vento spazza il parco in raffiche sempre più rabbiose, increspa l’erba come onde di marea. Poi la luna piena scivola fuori dalle nuvole e imbeve ogni stelo della sua luce pallida.

L’uomo se la sente addosso come una vampa ardente, una fiamma che brucia e annienta ogni pensiero. D’un tratto non è più lui. La sua risata si trasforma in un ululato primordiale, lo stesso che dev’essere risuonato sul colle ai tempi di Romolo e Remo.

È l’urlo del versipellis, il mannaro delle notti romane.

L’uomo-lupo snuda le zanne, pronto ad affondarle nella gola di lei… e si ferma.

Perché Lollia non sta urlando. Non cerca di scappare, non prova a difendersi, non è paralizzata dall’orrore. Tace e gli sorride sopra la coppa di vino.

Un sorriso che scintilla un po’ troppo alla luce delle torce.

“Tu… anche tu…” La voce dell’uomo è poco più di un grugnito bestiale, ormai.

Lollia si alza, splendida nella sua seta verde smeraldo. Posa il bicchiere e sospira. “Speravo che resistessi un po’ di più, onestamente. Che delusione.”

I drappi soffici cadono a terra. Lui sgrana gli occhi e scatta indietro, mentre gli artigli fischiano a un soffio dalla sua giugulare. La seconda zampata gli trapassa il braccio come un affondo di coltelli incandescenti. L’uomo barcolla, cerca di contrattaccare. Ha i riflessi rallentati dal vino. I suoi ululati si intrecciano a quelli di lei, perdendosi nel vento.

Stupido, riesce a pensare soltanto, stupido, ingenuo e arrogante.

Poi la luce della luna si spegne, e resta solo la notte.

Autore

  • Giorgia Cappelletti

    Archeologa di formazione, scrittrice per hobby. Fino ad oggi ho scavato, lavorato in un museo, diretto laboratori per bambini, prodotto libretti divulgativi, insegnato greco e latino, scritto brani ed esercizi per le antologie scolastiche, e probabilmente qualcos'altro che ora mi sfugge. Guardo molti anime e vorrei vivere nel castello errante di Howl (ma senza di lui).

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