Giochi in dono per i Saturnali

27 Dicembre 2020
Per una settimana intera, nell'antica Roma non si lavorava e si stravolgeva ogni regola. Era la festa del solstizio d'inverno: i Saturnali

17-23 dicembre 82 d.C., feste dei Saturnali

Dicono che una volta all’anno è permesso impazzire.

Dicono che una volta all’anno, a Roma, il mondo si capovolge. I padroni servono gli schiavi e i bambini bacchettano i maestri.

Dicono un mucchio di scemenze, in provincia.

Agenore lo sa, perché lui in provincia ci è nato. Ricorda ancora l’emozione del suo arrivo a Roma, in un gelido dicembre di vent’anni fa, alla vigilia dei Saturnalia. Tutte quelle luci, la gente per le strade, i venditori ambulanti di noci e dolcetti, le bancarelle traboccanti di statuine: dei, eroi del mito, gladiatori famosi…

Per poi scoprire che la grande libertà dei Saturnali consiste in una grande fregatura.

“I due nipoti del padrone” borbotta tra i denti, mentre cammina lungo i portici dei Saepta Iulia. “I figli di mia sorella, uno, due e tre; la nipotina del capo dei vigiles, che è meglio tenerselo buono, sennò, al primo controllo in bottega, addio licenza; il bambino del portinaio dei Cornelii Scipioni, così magari un altr’anno la smette di pretendere mance altissime per farmi saltare la fila dei postulanti – in realtà c’è anche una figlia, ma quello lì è un tradizionalista, le femmine per lui non contano… Anzi, forse sì, meglio stare sul sicuro; una candela profumata e via…”

“Cosa fai, Agenore? Parli da solo?”

La voce è squillante, il sorriso contagioso. Cos’avrà da essere sempre così allegra, sola, povera in canna e con tre figli sul groppone, si chiede Agenore, fermandosi alla solita bancarella.

“Conto i sesterzi che mi toccherà sborsare quest’anno” risponde acidamente.

Doride ride. “Con tutti i soldi che hai fatto, ti lamenti per pochi spiccioli?”

“Ho fatto tanti soldi, come dici tu, perché ho tirato la cinghia per anni evitando ogni spesa inutile. Come i giocattoli, appunto. E i figli.”

Lascia vagare lo sguardo sulla merce esposta, arricciando le labbra. Robaccia di legno e terracotta, perlopiù. Cavallini a ruote, palle di stracci, bambole, dadi, noci dipinte e una schiera delle immancabili statuine.

“Aiuta anche me a fare fortuna, allora” dice Doride con un sorrisetto. “Vedi qualcosa di tuo gradimento?”

“Quei mocciosi viziati non dedicherebbero neanche uno sguardo alla tua mercanzia. Sai cosa mi è toccato comprare per il piccolo Publio Cornelio? Un elefantino d’avorio con le zanne in argento, e con tanto di sella ricamata. Mi è costato un mese di incassi.”

Doride alza le sopracciglia. “I cavalli non vanno più di moda?”

“Sì, ma il bimbo è uno Scipione, Doride! Deve ricordare le imprese dell’antenato di cui porta il nome, Scipione l’Africano, quello che ha sconfitto Annibale e i suoi elefanti. Così ha detto il padrone.”

“Ex padrone. Ci siamo comprati la libertà, ricordi?” Doride lo guarda in tralice, le mani sui fianchi. “C’è qualche motivo per cui continui a obbedire ai suoi ordini?”

“Lo sai perché. La bottega è sua.”

“La bottega, ma tu no! Sei un uomo libero. E nei giorni dei Saturnali si festeggia la libertà: dalle convenzioni sociali, dalle regole… Dovrebbe essere lui a farti un regalo!”

Agenore aggrotta la fronte, pensando di non aver sentito bene. Purtroppo la sua vecchia amica non sta scherzando. Il sorriso è scivolato via per lasciar posto a un’espressione battagliera che lui conosce fin troppo bene. “Parli sul serio?”

“Tu cosa ne dici?”

“Ecco perché io dirigo una bottega e tu vendi paccottiglia per la strada. Dopo tutti questi anni, devo ancora spiegarti come funziona? Un regalo mancato oggi, un contratto rescisso domani. Uno schiavo non smette mai di esserlo. E i Saturnalia sono soltanto una commedia. Una che non fa ridere.”

“Io mi sento piuttosto libera, sai? Ad esempio, sono liberissima di darti questo.” Senza cambiare espressione, Doride gli caccia in mano un sacchettino di stoffa legato da un nastro.

“Cosa sarebbe?”

“Sarebbe un regalo.”

“Io non ho figli.”

“Grazie a Giove onnipotente! Saresti un padre terribile.”

“Grazie, cara. È questo il vero spirito delle feste.” Sogghignando suo malgrado, Agenore scioglie il nastro. Dalle volute di stoffa emerge una scatoletta di legno, liscia e disadorna, con un coperchio a scorrimento. “Un salvadanaio? Tu stai regalando a me un salvadanaio?”

“Hai cominciato così, no? A quei tempi eri decisamente più simpatico. Ti farà bene tornare alle origini.”

“Tu invece sei sempre la stessa” sbuffa Agenore, un po’ offeso un po’ divertito. Indugia un momento a osservare i giocattoli disposti sulla bancarella, poi punta un dito. “Il gladio di legno, il mirmillone di terracotta e la bambolina con la tunica gialla.”

Doride sgrana gli occhi stupita, ma prende gli oggetti richiesti e li avvolge in un panno, legando l’involto con qualche tratto di corda. Agenore paga e fa per allontanarsi.

“Ehi, aspetta, hai dimenticato i giocattoli!” lo richiama Doride.

“Non sono per me. Hai tre figli, no? Tanti auguri.”

Si allontana a passo svelto, fendendo la folla per allontanarsi da quel caos di candele accese, ghirlande, cibo fritto e gente fastidiosamente allegra. Non è arrivato neanche a metà del porticato quando lei lo raggiunge e si aggancia al suo braccio.

“E la tua bancarella?”

“La sorveglia il vicino. È festa, potrò ben concedermi una passeggiata con un amico. Siamo liberi, o no?” Doride gli stringe il braccio col suo indomito sorriso. “Io, Saturnalia!”

Autore

  • Giorgia Cappelletti

    Archeologa di formazione, scrittrice per hobby. Fino ad oggi ho scavato, lavorato in un museo, diretto laboratori per bambini, prodotto libretti divulgativi, insegnato greco e latino, scritto brani ed esercizi per le antologie scolastiche, e probabilmente qualcos'altro che ora mi sfugge. Guardo molti anime e vorrei vivere nel castello errante di Howl (ma senza di lui).

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