Kathryn Thomson: il business a capo dei musei

15 Marzo 2017
Ebbene si, non è solo l’incubo dei più tradizionalisti sostenitori dei musei come luoghi metafisici puramente intellettuali, ma in Irlanda del Nord sono anche una felice realtà: una ex consulente strategica di decennale esperienza, Kathryn Thomson, riceve l’incarico di ristrutturare e ridefinire il circuito dei musei nazionali. ​Ed è un successo.
A poche settimane dalla nomina della seconda coorte di super direttori dei musei indipendenti nostrani, sembra che la polemica scoppiata lo scorso anno circa le competenze necessarie per questo tipo di incarico si sia definitivamente placata. Come si legge tra i requisiti elencati dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo nel bando di selezione di pubblica per l’incarico di direttore dei musei italiani, ormai non si può più prescindere dal pretendere esperienza nella gestione di attività e strutture complesse con risultati documentati e nell’ideazione e implementazione di progetti di comunicazione e fundraising. Ma come reagire di fronte un direttore di museo che non ha nessuna esperienza in campo accademico o, addirittura, in campo museale?

Nel Regno Unito non hanno battuto ciglio, e a marzo 2016 Kathryn Thomson – ex- consulente fiscale e strategica – è stata messa a capo non di uno, ma di ben quattro musei – Armagh County Museum, Ulster American Folk Park, Ulster Folk and Transport Museum e Ulster Museum – parte del circuito dei National Museums of Northern Ireland (NMNI). A un anno dal suo insediamento, Kathryn Thomson ci racconta il suo viaggio nel mondo dei musei, le sue ambizioni e obiettivi, e perché si può avere successo in questo campo anche senza un background accademico.

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Kathryn Thomson è ora a capo di 4 musei dell’Irlanda del Nord.
Foto © sibni.org

Qual è stato il percorso che l’ha portata a dirigere un’istituzione museale?

Diciamo che non ho mai davvero pianificato la mia carriera. Quando mi sono iscritta all’università non avevo ben chiaro cosa volessi fare “da grande” e ho pensato che una laurea in Economia fosse una scelta talmente generica da lasciarmi tante porte aperte nel futuro. Dopo la laurea mi sono ritrovata a lavorare per la PricewaterhouseCoopers (PwC), network internazionale che fornisce servizi professionali di revisione di bilancio, consulenza di direzione e strategica, e consulenza legale e fiscale. E’ stata un’esperienza estremamente formativa che, dopo sei anni, mi ha portato a occuparmi di strategia per l’ente statale del turismo dell’Irlanda del Nord (Northern Ireland Tourism Board, NMNI). Ed è stato proprio grazie a quest’ultima avventura, durata quasi 11 anni, che ho cominciato ad avvicinarmi al mondo dei musei, risorsa fondamentale per il turismo dell’Irlanda del Nord.

Nel 2015, la NMNI si è trovata ad avere urgente bisogno di un cambiamento strategico: negli ultimi 5 anni il governo aveva diminuito il proprio contributo economico fino a totalizzare un taglio di circa il 30 per cento del budget annuale, e l’organizzazione non era riuscita ancora a reagire.
Nella prospettiva di ulteriori tagli dal settore pubblico, e vista la mia estesa esperienza in campo strategico, mi è stata lanciata una sfida: mettermi a capo dell’organizzazione per ristrutturarla e ridefinirne missione e valori.

Foto musei

Logo dei National Museums of Northern Ireland (2017)

Quale pensa sia il contributo più grande che può dare a questo settore, data la sua esperienza di business?

Il mio approccio si focalizza principalmente sui visitatori e sulla loro esperienza di visita, il loro rapporto con l’organizzazione e ciascun museo. Oggi, non è più sufficiente che i musei siano aperti. I musei hanno il potenziale per giocare un ruolo di rilievo all’interno della società, e non solo  come risorsa per il turismo: devono essere dei riferimenti per la comunità locale, devono educare, diventare luoghi di apprendimento permanente. Ma per fare questo, è necessario comprendere se la visita al museo soddisfa o meno le aspettative del pubblico, se è di  loro gradimento e, soprattutto, se è in grado di richiamare un pubblico diversificato.
Penso che la mia esperienza di cambiamento organizzativo (ndr organizational change, processo attraverso il quale un’organizzazione passa da uno stato presente a uno stato futuro desiderabile per accrescerne l’efficacia e il valore, Christiane Demers 2008) insieme al mio approccio, siano gli strumenti che più mi permettono di contribuire in maniera positiva alla transizione di NMNI verso un’organizzazione più visitor-centric.

Qual è stata la sfida più grande che ha dovuto affrontare fino a oggi?  

Prima di tutto, vista la situazione economica dell’organizzazione, ho dovuto essere estremamente realista e pragmatica nell’uso delle risorse, senza però compromettere la qualità del servizio offerto ai visitatori. E la soluzione, prima che in tecnologie e nuovi servizi, l’ho trovata nelle persone, nel mio staff.
Ho quindi effettuato un sondaggio tra il personale, per capire meglio il loro punto di vista e trovare insieme un modo per collaborare in maniera più efficace. Poi, ho investito su di loro. Le persone che lavorano nei nostri musei, in particolare quelle che interagiscono ogni giorno con il pubblico, sono la nostra risorsa principale e vanno ascoltate e valorizzate.

Quali sono i suoi obiettivi nel medio-lungo termine?

Principalmente la mia ambizione è riuscire a fornire esperienze di visita sempre più stimolanti e creative, in modo da attrarre un pubblico sempre più vario, in particolare chi tradizionalmente non visita i musei. 
In generale vorremmo infondere un senso di appartenenza nella comunità. La storia recente dell’Irlanda del Nord è segnata dal conflitto e la nostra organizzazione ha il potenziale per costruire la pace, la riconciliazione e la coesione. E’ uno strumento per aiutare i cittadini a esplorare la nostra storia comune, che non è necessariamente una memoria condivisa.
Poi, ovviamente, si prospettano grandi investimenti a livello di infrastrutture e tecnologie, oggi necessarie per rendere la cultura accessibile e allettante per il pubblico più giovane. 
In generale, mi piacerebbe avere una organizzazione più autosufficiente, capace di accrescere in modo indipendente le proprie risorse, con forte legami di collaborazione con altre organizzazioni e aziende, per il beneficio reciproco.

Foto musei

Ulster museum (2017)

Nel 2015, l’International Council of Museums (ICOM) ha dichiarato che essere un ottimo studioso è ciò che consente di essere il miglior direttore di un museo: le competenze necessarie a dirigere un museo sono quelle strettamente legate alla disciplina di riferimento per lo studio delle collezioni. Cosa ne pensa?

Penso che un museo non sia nulla senza una competenza di settore: le collezioni sono vuote senza qualcuno in grado di dare un significato e un valore alle opere e ai manufatti in mostra. Un approccio accademico in questo senso è necessario, ma dobbiamo anche ricordarci che il ruolo e la missione dei musei è in rapida e continua evoluzione. Le persone comunicano e hanno accesso a contenuti e informazioni in molti modi, e ciascun pubblico ha le proprie aspettative e bisogni. Riuscire a soddisfare queste ampio spettro di esigenze, penso richieda una professionalità diversa, con un diverso insieme di competenze ed esperienze.
Non penso sia importante se non sono propriamente una professionista dei beni culturali in senso tradizionale: tutte le organizzazioni (e i musei sono un tipo di organizzazione!) devono avere una missione, una visione e un pubblico, e questo è il mio pane quotidiano.
Dobbiamo provare a immaginare i musei come luoghi fondati sul delicato equilibrio tra business e accademia, tra promozione e ricerca, la cui sopravvivenza è legata alla capacità di riproporzionare ogni giorno queste due anime per servire al meglio la società.

Autore

  • Anna Paterlini

    Da sempre grande appassionata di conversazioni casuali con sconosciuti, è determinata a dimostrare che gli archeologi sanno parlare con la gente normale. Ignorando attivamente il detto: “Non metter bocca, dove non ti tocca”, passa il suo tempo curiosando nei cervelli e nella psiche dei turisti che (non) affollano i nostri siti archeologici e musei. Il suo obiettivo è rispondere a una domanda precisa: se l’archeologia è un patrimonio di tutti, perché nessuno si sente suo orgoglioso proprietario?

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