La leggenda del noce di Benevento

20 Novembre 2020
È l’albero dove si riunivano i Longobardi, si celebravano riti pagani e poi i sabba delle streghe: la storia del noce di Benevento

Ducato longobardo di Benevento, VII secolo d.C.

Il giorno in cui abbatterono il noce, Rodelinda si era svegliata poco dopo l’alba con la sensazione di aver perso qualcosa di importante.

Si sbagliava. Quando si fu vestita e lavata la faccia con l’acqua gelida del bacile, si accorse che di cose importanti ne aveva perse tre: il coniglio avanzato dalla cena; la fibula a forma d’aquila che era appartenuta allo zio Godefrit, unico tesoro di famiglia; la nonna Adalgisa.

Rodelinda considerò la questione con senso pratico. Niente coniglio, pazienza: avrebbe fatto colazione con formaggio e castagne. La scomparsa della fibula era più preoccupante, ma le riusciva difficile immaginare un ladro che si introduceva di soppiatto in quella catapecchia per cercare monili preziosi e poi, già che c’era, si fermava per fare uno spuntino con gli avanzi della sera prima. Forse era stata la nonna a prendere la fibula per lucidarla. Punto terzo: la nonna medesima, e qui la faccenda si faceva più seria.

Il letto di Adalgisa era vuoto e rifatto, le sue scarpe non erano sotto il braciere e il mantello non era appeso accanto alla porta. Quindi era uscita di sua spontanea volontà.

“Cosa le è saltato in mente, a quest’ora e con questo freddo?” sbottò Rodelinda, e continuò a sciorinare improperi e maledizioni miste del credo pagano e cristiano, mentre si copriva con tutti gli strati di lana che riuscì a trovare in casa. Quando aprì la porta, una ventata umida spense la fiammella della lucerna posata sul tavolo.

Le colline erano avvolte da una bruma indistinta: nebbia nell’aria, brina sulla terra. L’erba crocchiava sotto i passi, indurita dal gelo. Sulla strada per Benevento non si vedeva un’anima viva.

Rodelinda ne fu sollevata. Temeva di incontrare qualche banda di fanatici armati di croci e fiaccole, devoti al vescovo Barbato che aveva appena deciso di far abbattere il noce sacro agli dei…

“Il noce!” esclamò Rodelinda ad alta voce, fermandosi in mezzo alla strada. “Ma certo! Ecco dov’è andata!”

Le ci volle una lunga scarpinata per arrivarci. Si stagliava solitario sulla collina, nero contro un cielo biancastro che prometteva neve. I rami erano spogli, ma il tronco robusto si innalzava dritto e fiero come la colonna di un tempio pagano. A Rodelinda sfuggì un sorriso ammirato. Nel corso degli anni quelle campagne erano state bruciate, saccheggiate durante gli assedi e devastate dagli eserciti di passaggio, eppure l’antico gigante resisteva ancora, aggrappato alla terra con la testardaggine tipica dei vecchi e dei matti.

Nessuna meraviglia che alla nonna piaccia tanto. Sono fatti l’uno per l’altra, quei due.

Ed eccola là, Adalgisa: inginocchiata ai piedi del tronco, rovistava tra le radici mentre canticchiava a mezza bocca in una lingua incomprensibile.

Rodelinda si fermò alle sue spalle. “Tra tutte le offerte che potevi scegliere da regalare al primo vagabondo di passaggio, proprio la fibula dello zio?”

La vecchia rispose senza voltarsi: “Taci, bambina. Non è saggio mostrarsi irriverenti al cospetto del Padre degli Dei”.

“Ho trentadue anni, nonna. Tu ne hai settantatré e stai parlando con un albero. Vogliamo parlare di chi è la più saggia tra noi due?” Le prese il gomito per aiutarla a rialzarsi. “Andiamo via di qui, forza. Non ho proprio voglia di incontrare gli uomini del vescovo”.

Adalgisa si tirò su lentamente, rifiutando il suo aiuto con un cenno del capo. “Barbato è un illuso. Crede di poter sradicare l’antico credo insieme al noce, ma le radici corrono sotto la terra”.

“Sì, d’accordo” la liquidò Rodelinda che aveva l’unico desiderio di allontanarsi da lì prima che qualcuno le vedesse.

Troppo tardi. Dalla strada venne un rumore di zoccoli e, dopo pochi istanti, dietro una svolta sbucò un piccolo drappello di uomini a cavallo. Rodelinda imprecò sottovoce. Portavano i capelli lunghi rasati ai lati, montavano cavalli di razza ed erano armati di tutto punto: non certo pastori o contadini diretti al mercato.

“Voi, donne!” gridò il capo del drappello. Deviò dalla strada e le raggiunse al piccolo trotto. “Cosa state facendo qui?”

“Chiediamo perdono agli Antichi prima che l’oltraggio si compia” rispose placida la vecchia Adalgisa.

“Quello che mia nonna vuole dire” si precipitò a intervenire Rodelinda “è che siamo qui per rendere omaggio alla santa opera del vescovo Barbato, che estirperà il Maligno e la sua ombra nefanda da queste campagne”.

L’uomo aggrottò la fronte, evidentemente in difficoltà con la lingua latina. “Estir… cosa?”

“Abbatterà il noce” tradusse Rodelinda.

“Ah, giusto”. Il cavaliere ridacchiò. “Bel tentativo! Mi hai quasi convinto. È oro, quello che vedo brillare laggiù?”

Rodelinda seguì la direzione del suo sguardo e sospirò. Nella fretta di portare via la nonna si era dimenticata la fibula, che era rimasta in bella vista ai piedi dell’albero.

“Te la darò, se ci lasci tornare a casa” disse rassegnata.

Ma l’uomo la guardò male. “Pensi davvero che ruberei un’offerta a Wotan il Grande? Su, porta a casa la tua vecchia. Tra poco su questa collina ci sarà un bel po’ di scompiglio”.

La vecchia Adalgisa lo guardò negli occhi. “I miei rispetti al duca Romualdo. Il nostro popolo longobardo può dormire sonni tranquilli, finché lui continuerà a percuotere la pelle di capro e onorare la Vipera d’Oro”.

Il cavaliere annuì e tornò dai suoi uomini. Nonna e nipote rimasero a guardarli mentre si allontanavano al galoppo lungo la strada deserta.

“Il duca?” ripeté Rodelinda sbalordita. “Ma Barbato l’ha convinto a rinnegare gli antichi dei!”

“Come ti ho detto, le radici corrono sotto la terra”. La vecchia sorrise e d’un tratto, sotto le rughe, riaffiorò la ragazza che nelle notti di luna piena cantava e danzava con le sue compagne sotto l’albero sacro. “Vieni, torniamo a casa. Il coniglio era saporito, ma mi è rimasto un languorino”.

Autore

  • Giorgia Cappelletti

    Archeologa di formazione, scrittrice per hobby. Fino ad oggi ho scavato, lavorato in un museo, diretto laboratori per bambini, prodotto libretti divulgativi, insegnato greco e latino, scritto brani ed esercizi per le antologie scolastiche, e probabilmente qualcos'altro che ora mi sfugge. Guardo molti anime e vorrei vivere nel castello errante di Howl (ma senza di lui).

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