Il Paleolitico degli Appennini raccontato da un’app: ricerca, valorizzazione e cittadini al Piovesello

7 Gennaio 2019
Il sito archeologico del Piovesello (Piacenza) è al centro di un progetto di tutela e fruizione dei beni culturali gestito interamente da giovani under 35

Cari Piacentini, sapevate che a due passi da casa vostra, al Piovesello nel comune di Ferriere, si trova una delle poche testimonianze dell’occupazione umana negli Appennini durante l’ultima glaciazione? È un piccolo tesoro preistorico ritrovato grazie alle ricerche dell’Università di Ferrara, e che presto sarà al centro di un importante progetto di valorizzazione. E il tutto sarà gestito dai giovani. Sbem!

La scoperta

Le indagini archeologiche al Piovesello – che è situato a 870 m sul livello del mare – hanno avuto inizio nel 2012, quando alcune ricognizioni nei pressi della località di Cassimoreno si sono concentrate nell’area umida (da qui, il nome ‘Piovesello’) creatasi intorno a un canale di drenaggio delle acque piovane. Quest’ultimo, erodendo il terreno, ha restituito dei reperti interessanti, tra cui alcuni strumenti in pietra scheggiata (diaspro rosso) che hanno subito incuriosito i ricercatori. La prima campagna di scavo è stata organizzata l’anno seguente.

Poi, cinque anni più tardi, le indagini sono riprese grazie all’Università di Ferrara (gruppo di ricerca PalEoREseaRch) e all’IBC dell’Emilia Romagna, con il professor Marco Peresani come direttore scientifico delle ricerche e Davide Delpiano come direttore dello scavo: tra luglio e agosto 2018 è stata terminata l’investigazione del sito e tutti i reperti raccolti sono stati mappati e inventariati.

Al Piovesello si scheggiava la pietra

Cos’ha da raccontare, dunque, il sito di Piovesello? Innanzitutto, la storia di un bel giorno del Paleolitico Superiore in cui un piccolo gruppo di cacciatori-raccoglitori gravettiani (cioè di un’epoca compresa tra i 30mila e i 20mila anni fa) si fermò in questo luogo e iniziò a scheggiare diversi tipi di materiali litici, alcuni provenienti dal vicino Monte Lama, altri addirittura dai giacimenti francesi della Provenza.

Ne sono testimonianza le numerose lame e punte di selce trovate negli strati archeologici: un bottino di quasi 800 reperti ora custoditi presso l’Università di Ferrara, dove diversi specialisti li hanno studiati ottenendo informazioni non solo sulla provenienza della materia prima litica, ma anche sulle modalità di scheggiatura e di utilizzo degli strumenti, servendosi delle più recenti tecnologie.

È stato possibile, per esempio, ricostruire le sequenze di scheggiatura del blocco di selce da parte dell’artigiano paleolitico grazie ai rimontaggi, cioè una sorta di ‘puzzle’ di schegge in cui ogni tassello rappresenta un passaggio dello sfruttamento della materia prima, e che per i materiali del Piovesello è stato effettuato servendosi di particolari metodi di scansione 3D.

Selci Piovesello

Alcune lame e schegge di diaspro rosso ritrovate durante gli scavi ai Piovesello

La datazione

Oltre agli strumenti litici, però, all’interno dei sedimenti archeologici sono stati trovati anche molti resti botanici, tra cui spiccano i carboni, fondamentali per determinare la datazione di un sito. Nel caso di Piovesello, i frammenti di carbone sono stati sottoposti al metodo di datazione del Carbonio 14 presso il CEDAD (Università del Salento – Lecce) e i risultati sembrerebbero posizionare l’occupazione umana di Piovesello a circa 30mila anni fa.

Si tratta di un periodo molto freddo, nel mezzo dell’ultima glaciazione, in cui l’uomo di Neandertal si era da poco estinto lasciando l’Europa nelle mani di Homo sapiens. Lo studio specifico dei carboni – detto ‘antracologico’ (dal greco anthrax, carbone) e svolto in collaborazione con l’Università di New York – ha permesso di riconoscere le specie vegetali utilizzate dai gruppi umani per l’accensione di focolari durante il periodo di occupazione del sito.

Complementari sono, poi, le analisi del polline – svolte dal Laboratorio di Palinologia e Paleoecologia del CNR di Milanoe quelle micromorfologiche – ossia lo studio del sedimento a livello microscopico, svolto in collaborazione con l’Università di Padova. Dalla combinazione di queste discipline emerge un quadro climatico completo del contesto paleoambientale del sito del Piovesello: una ambiente di steppa montana costituita da vegetazione bassa e rada, probabilmente caratterizzato da faune come bisonti, cervi e stambecchi (sebbene il grado di acidità del terreno abbia purtroppo impedito la conservazione di resti ossei).

La collaborazione tra diverse università e istituzioni ha condotto alla pubblicazione di un articolo scientifico sulla rivista internazionale Quaternary Research.

Quindi?

I ricercatori hanno quindi concluso che il sito del Piovesello rappresenta il passaggio temporaneo di un gruppo umano di cacciatori-raccoglitori nomadi, attirati dalle risorse litiche del Monte Lama, e attrezzati con il minimo indispensabile per la caccia, il sostentamento e la costruzione di ripari. Tuttavia c’è di più.

Nel territorio dell’Appennino settentrionale, Piovesello rappresenta un esempio unico di frequentazione umana in alta quota durante una fase di raffreddamento climatico, documentando inoltre un caso di mobilità dei gruppi umani paleolitici dalla Provenza all’Italia Settentrionale. Sono queste le ragioni che hanno fatto scattare la molla della valorizzazione.

Piovesello sedimento archeologico

Dettaglio del sedimento archeologico contenente una scheggia di selce (a sinistra) e un frammento di carbone (a destra)

Il progetto Paleo APPennino

Da qui, infatti, nasce il progetto Paleo APPennino – il Piovesello tra Preistoria ed Era multimediale, che si propone di creare una rete virtuale tra musei e siti archeologici per rendere fruibili le realtà preistoriche del piacentino, rimaste finora appannaggio di pochi specialisti. Il progetto è proposto dall’Associazione culturale Augusta Veleiatium di Piacenza, che dal 2013 si occupa di valorizzazione dei beni culturali del territorio, e vanta il supporto finanziario dell’Università di Ferrara, del Museo archeologico della Val Tidone e del Museo e Parco archeologico di Travo.

Il progetto è partito dal sito del Piovesello e coinvolgerà col tempo i principali luoghi legati alla preistoria e alla cultura del territorio piacentino. Già durante le fasi di scavo, la cittadinanza è stata ampiamente resa partecipe delle attività di ricerca grazie a laboratori didattici per bambini e visite guidate per le famiglie.

Diverse iniziative e attività finalizzate alla fruizione e a alla divulgazione dei beni del territorio sono state effettuate nei mesi passati e altre ancora sono in cantiere, grazie al costante impegno del Comune di Ferriere, del Gruppo Archeologico della Val Nure e del CNA di Piacenza.

Il fine ultimo del progetto sarà l’integrazione dei beni del territorio con il Sistema museale piacentino, per mezzo di un’importante innovazione tecnologica: l’applicazione QuickMuseum, sviluppata dalla società ARTernative di Parma. L’app punta a stimolare la visita da un luogo all’altro mediante contenuti multimediali e giochi interattivi che permettono di avvicinare alle tematiche dei cambiamenti climatici e dell’adattamento umano anche i più piccoli.

Tutti in marcia!

Per la gioia di chi ama unire cultura e natura, sappiate che QuickMuseum non si può usare dal proprio divano: i contenuti multimediali, infatti, si sbloccano solo andando direttamente sul luogo di interesse! Provare per credere su http://www.quickmuseum.it.

Il Progetto PaleoAPPennino è stato premiato come vincitore del bando Giovani per il Territorio indetto dall’IBC dell’Emilia Romagna, principalmente perché si propone di mettere i giovani al centro della gestione dei beni culturali e del territorio. Infatti tutti i partecipanti alle varie attività di ricerca e divulgazione non superano i 35 anni di età.

Una scommessa, questa, che punta a un premio più grande, quello della valorizzazione di siti invisibili che comprendono beni culturali non monumentali o parziali: un’impresa non sempre facile, e che può essere possibile solo attraverso il coinvolgimento di una cittadinanza attiva, informata e consapevole.

Autore

  • Eva Francesca Martellotta

    Tutti da piccoli volevano fare gli archeologi. Beh, allora le possibilità sono due: o lei non è ancora cresciuta, o è parecchio testarda. O forse entrambe le cose. Sta di fatto che esami, tesi e CFU non le hanno ancora tolto quell’idea dalla testa. Innamorata dell’archeologia sperimentale, la sua missione è far sì che chiunque capisca il valore di ‘quei pezzi di pietra’ che gli archeologi tirano fuori dalla terra con così tanta, incomprensibile passione. La scienza ha dimostrato che tutti abbiamo un po’ di Neandertal dentro di noi, e lei è pronta a farlo uscire allo scoperto!

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