Al Festival del Giornalismo Culturale di Urbino, fra tecnologie e pubblico

17 Ottobre 2016
Lo scorso weekend si è tenuta a Urbino e Fano la quarta edizione del festival. Il resoconto di Archeostorie delle nuove sfide che attendono il giornalista culturale.
La rete, le tecnologie e il patrimonio.
Un tema di scottante attualità per il Festival del Giornalismo Culturale di Urbino, che si pone come obiettivo capire quali sono le nuove competenze e le sfide che il giornalista culturale deve affrontare. Questi i temi che sono stati al centro di tutti i panel del Festival del Giornalismo Culturale, svoltosi ad Urbino e Fano dal 14 al 16 ottobre.
Da quattro anni questa manifestazione, diretta da Lella Mazzoli, docente di Sociologia della Comunicazione all’Università Carlo Bo di Urbino, e da Giorgio Zanchini, giornalista di Radiorai e docente all’Università Carlo Bo di Urbino, riunisce giornalisti ed esperti del settore per fare il punto sullo stato della comunicazione culturale e del patrimonio in Italia.
L’apertura è stata affidata ad una lectio di Massimo Osanna, Direttore generale della Soprintendenza di Pompei. Il panel ha illustrato il nuovo corso di Pompei, che sta cambiando pelle per l’ennesima volta nella sua storia millenaria. Dal ‘700 in avanti, come sottolinea Osanna, “Ogni generazione ha reinventato Pompei.”, ritoccando e reinventando l’immagine del sito sulla base della sensibilità del contemporaneo. Non vi è quindi ragione di opporsi ad interventi innovativi, sia negli allestimenti che nella comunicazione.

Pompei, le parole contano

Osanna ha sottolineato come le aspettative del pubblico su Pompei siano spesso legate al racconto dei media, che influenzano positivamente o negativamente le aspettative e quindi anche la percezione dell’esperienza. Il 70% degli stranieri, infatti, nei sondaggi realizzati dopo le visite, si dichiarano soddisfatti dalle condizioni in cui è tenuta l’area archeologica, mentre solo il 30% degli italiani lo è. Il racconto dei media che spesso sottolinea i malfunzionamenti e i crolli finisce per influenzare pesantemente l’idea che i visitatori, specie italiani, hanno del sito e quindi anche l’esperienza che vivono in esso. Tuttavia, come ha ammesso Osanna, l’essere stati spesso bersagli di critiche da parte della stampa ha stimolato chi lavora a Pompei a trovare nuove modalità sia nel rapporto con il pubblico che con i media.Osanna riconosce che oggi imparare a comunicare da parte delle Soprintendenze è fondamentale, perché in passato la comunicazione era lenta e mediata dalla burocrazia, mentre oggi deve viaggiare in tempo reale attraverso i social. Il restyling del sito della Soprintendenza, le pagine su Facebook e l’account su Twitter sono diventati mezzi efficaci per coinvolgere il pubblico. Attraverso questi canali, gli archeologi della Sovrintendenza, con rubriche, video e filmati realizzati da loro, spiegano ogni giorno qual è il loro lavoro quotidiano di salvaguardia, mostrano i “dietro le quinte” degli interventi, svelano piccoli segreti fino ad oggi noti solo a chi lavora allo scavo. Tutto questo crea curiosità, ma anche consapevolezza della mole di lavoro che viene svolto dai funzionari e dal personale. Questa svolta nell’impostazione ha creato anche nuovi posti di lavoro per giovani architetti, archeologi e social media manager, che lavorano fianco a fianco ed interagiscono di continuo.

La sfida della nuova Pompei non è solo quindi comunicare, ma rivitalizzare un intero territorio. Pompei oggi ha ampliato la superficie visitabile, creato percorsi ad hoc per i disabili, e si è aperta ad eventi di varia natura, come concerti, che attirano il pubblico e un turismo non solo più “mordi e fuggi”, e che quindi ha maggiori ricadute, anche economiche, sul territorio circostante.

I piccoli musei italiani al Festival del Giornalismo Culturale

Il focus si è poi spostato sui musei italiani: quelli piccoli sono stati oggetto di una approfondita indagine da parte di Vincenzo Trione, Preside della facoltà di Arte, Turismo e Mercati della IULM, che sta portando avanti una vera e propria mappatura dei piccoli musei sia pubblici che privati. Queste strutture sono spesso molto legate al territorio e oggi sono gestite da giovani laureati pieni di iniziative. Il pregio dei piccoli musei è infatti il loro radicamento nella comunità, che spesso è anche la prima utenza del museo, vissuto come un posto in cui si torna spesso, come la biblioteca del quartiere, ed è sentito come una sorta di sentinella dell’identità di quel territorio.

I musei e il pubblico

 

La ricerca presentata da Lella Mazzoli e dal suo gruppo di studio è stata invece incentrata sulla comunicazione dei musei verso il pubblico. Alcuni dati risultano particolarmente interessanti. Il pubblico è formato solo da un 25% di persone che visitano molti musei, e sono perciò “utenti forti”. Il resto è formato da pubblico che frequenta poco i musei, o in modo molto saltuario. Se gli utenti forti amano informarsi e decidere percorsi attraverso la raccolta di informazioni via web e su giornali e riviste, gli utenti saltuari, che hanno spesso titoli di studio bassi, si informano invece principalmente attraverso i depliant cartacei e la TV, e vorrebbero anzi che la televisione parlasse più spesso di patrimonio e cultura. Si rileva quindi una disomogeneità fra la domanda e l’offerta di informazione al pubblico: i musei, anche per motivi economici, affidano ormai il grosso della comunicazione al web, anche perché aprire un sito o un account social è più facile e meno costoso che ottenere passaggi sugli altri media, in special modo in tv. Tuttavia il pubblico che non va spesso nei musei e che i musei vorrebbero intercettare usa proprio la tv come mezzo quasi esclusivo per informarsi e pianificare possibili visite.

Fra i Social, Facebook è quello preferito e più frequentato dal pubblico per reperire informazioni, mentre Twitter, molto amato dai musei e dagli enti, è in realtà poco sfruttato dal pubblico generico. Anche qui si avverte la necessità di un ragionamento profondo sul tema: Twitter oggi viene considerato un social indispensabile e tutti i musei hanno ormai un account, spesso aggiornato con maggiore frequenza di quello degli altri social network. Ma Twitter è e rimane un social di nicchia, più consultato dagli addetti ai lavori e dagli esperti del settore che dal pubblico che poi si vorrebbe portare al museo.

Musei e centri commerciali

Nella seconda giornata del festival, Giuliano Volpe, presidente del Consiglio Superiore per i Beni culturali del MiBACT, e Luca de Biase, del Sole24ore, hanno ragionato insieme sulle nuove applicazioni delle tecnologie nei musei e nella comunicazione del patrimonio. Volpe ha sottolineato la necessità di uscire da una concezione elitaria della cultura: la sfida del futuro è portare nei musei chi oggi non ci entra e va solo ai centri commerciali, senza però necessariamente trasformare il museo in un centro commerciale. Trovare un nuovo linguaggio adeguato richiede il salto culturale che oggi si deve fare in Italia. Questo salto di mentalità richiede che ci si adegui al digitale, perché, come ha detto a Volpe in una battuta:”Oggi il museo ha bisogno di una pagina Social così come ha bisogno di avere i bagni!”

Giornalismo, blog e patrimonio culturale

Adeguamento significa anche aggiornare e integrare musei, patrimonio e sviluppo del turismo, come ha ricordato Francesco Palumbo, direttore generale della Direzione Generale Turismo del MiBACT, che non solo ha finalmente prodotto un piano per il turismo, ma che intende sempre più integrare le varie forme di fruizione del patrimonio culturale con le iniziative dei vari territori.

La presenza di servizi giornalistici sul patrimonio culturale sui vari media è stato un altro dei filoni sviluppati al festival. Elena del Drago di Rai Radio3 ha monitorato la presenza di servizi di argomenti culturale nei telegiornali degli ultimi mesi, notando un notevole sbilanciamento su cinema e musica, che fanno la parte del leone e trovano posto nelle edizioni più seguite, mentre i servizi sul patrimonio culturale “bucano” solo se legati ad argomenti di stringente attualità, come le distruzioni di reperti da parte dell’ISIS o la chiusura al pubblico di Piazza di Spagna. Questo causa un “racconto” sul patrimonio frammentario e troppo legato ai temi del giorno, e rischia pertanto di essere saltuario o limitato a quegli argomenti che attirano il pubblico in quel momento, sulla base di notizie appena arrivate o polemiche contingenti.

La rete e i blog invece risultano fondamentali e molto amati dal pubblico di nicchia, che non trovando spesso servizi nei canali generalisti o sui giornali, cerca informazioni in rete in siti specializzati. Questi sono poi spesso anche più aperti alle contaminazioni fra le varie forme di arte. I canali specializzati, come Sky Arte, rappresentata al Festival da Roberto Pisoni, offrono al pubblico una informazione pensata ad hoc e spesso anche progettata con un taglio, anche stilistico, che la renda riconoscibile e accattivante. Ma spesso, come rilevano Marino Sinibaldi, direttore di Rai Radio 3, le televisioni e la stessa radio hanno comunque tempi e spazi ristretti. Sul web, invece, i siti tematici, come Archeostorie, che ha partecipato al panel dedicato ai “I media e il racconto del patrimonio culturale” posso fornire ai loro lettori un flusso di informazione specifica e meno vincolata al problema dello spazio.

La rete è stata protagonista del dibattito. Da un lato gli studi della Mazzoli confermano che sta progressivamente diventando il modo più usato per cercare informazioni da parte di una fetta sempre più vasta di pubblico. Se la tv ancora è il punto di riferimento, e la radio tiene bene, la stampa invece fa fatica a tenere il passo con il web.
Fenomeni come gli “archeoblogger” e i siti specializzati hanno dato uno scossone alla struttura dell’informazione, e risultano più agguerriti e nelle sperimentazioni e capaci di fornire servizi che vengono incontro ai desideri del pubblico.
Il web però ha bisogno, secondo de Biase e Volpe, di garantire la qualità delle informazioni stesse per acquisire definitivamente credibilità come gli altri e più “vecchi” mass media. Non esistendo ancora nessun algoritmo in grado di fare ciò, il compito resta affidato alla serietà e alla professionalità dei giornalisti e dei narratori, che devono affinare sempre più conoscenze e competenze per poter soddisfare le richieste del pubblico e devono però al tempo stesso essere in grado di usare tutti gli strumenti, e qualche volta anche le “malizie” del web, per catturare i possibili utenti e invogliarli a scoprire i musei e i monumenti del nostro patrimonio sconfinato.

Autore

  • Mariangela Galatea Vaglio

    Storica infiltrata fra gli archeologi, blogger e insegnante, frequenta le aule scolastiche per mestiere e il web per passione. Ama la divulgazione storica, e scrive perché per comunicare il passato nulla funziona meglio di una storia ben raccontata.

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