Il Natale di Taila

22 Dicembre 2019
Ovunque ci siano speranza e rinascita, è Natale. Anche tra i freddi monti nella lontana preistoria

Taila trascinava i piedi nella neve.

Non andava bene, così, lo sapeva. Il capotribù dovrebbe avere un passo baldanzoso, la testa alta, lo sguardo sicuro di chi sa esattamente cosa va fatto e perché.

Il problema era che lei non lo sapeva: non aveva idea di dove stesse andando, né se quella di partire fosse stata la decisione giusta.

Voltò la testa verso il gruppetto di derelitti che la seguiva in una breve fila. La vecchia Mala, che negli anni aveva seppellito tre compagni, sembrava accartocciata su se stessa. I bambini inciampavano a ogni passo, scorticandosi le mani sulle rocce ghiacciate.

Le teste dei più piccoli ciondolavano sulle spalle degli adulti, spuntando dalle sacche di pelliccia in cui erano legati stretti. Solo gli uomini e le donne giovani sembravano resistere a quella marcia disperata, ma i colpi di tosse rauca che si levavano qua e là lungo la fila non lasciavano ben sperare.

Procedevano a fatica in una stretta gola, sulla riva di un torrente gelato. Tutt’intorno a loro, le montagne luccicavano di neve fresca agli ultimi raggi del sole. Le cime avvampavano di un rosa intenso.

Sarebbe stato uno spettacolo magnifico, se Taila avesse potuto goderselo seduta davanti alla sua tenda, scaldandosi le mani al fuoco. Invece quella vista la fece rabbrividire.

Appena il sole fosse scomparso dietro le cime si sarebbero ritrovati al buio. Al buio e al freddo, in una lunga notte invernale, lontani da qualunque riparo.

Accelerò il passo, impedendosi di pensare. Ancora pochi passi e si sarebbero ritrovati fuori da quella gola, e finalmente avrebbe potuto vedere cosa ci fosse al di là; forse una vallata ben esposta al sole, dove la neve non si era accumulata tanto, e dove avrebbero potuto accamparsi per sopravvivere un altro giorno ancora, prima di proseguire il viaggio in cerca di una nuova casa…

Fece l’ultimo tratto quasi di corsa, con l’aria gelida che bruciava nei polmoni, e le pareti rocciose si aprirono in una vallata larga e pianeggiante.

Pini e abeti spuntavano qua e là dalla distesa candida. I versanti in lieve pendenza offrivano tettoie naturali e anfratti perfetti per ripararsi dalla neve e dal vento. Sul fondo della valle, la superficie ghiacciata di un lago rifletteva il rosa e l’azzurro del cielo.

Taila stava per lanciare un urlo di gioia, quando si accorse del fumo. Un filo esile, quasi invisibile nella luce che si faceva indistinta, ma era lì, sospeso sopra un gruppo di rocce illuminate dal sole.

Fumo voleva dire fuoco, fuoco voleva dire uomini, uomini significava un accampamento. Un altro clan. Territorio già occupato.

Fu allora che la speranza testarda che l’aveva spinta fin lì, aprì le ali nere e volò via come un uccello spaventato. Taila crollò sulle ginocchia, nella neve, e cominciò a piangere in silenzio. Faceva così freddo che le lacrime congelavano sulla pelle.

Sentì gli altri avvicinarsi e fermarsi dietro di lei, parlando in sussurri, ma la vecchia Mala impedì a tutti di farle domande. Taila gliene fu grata: non avrebbe avuto la forza di guardarli negli occhi e ammettere che era finita, che il Clan del Corvo sarebbe scomparso lì, tra quelle montagne ostili, senza nessuno a bruciare essenze per loro, mescolare l’ocra rossa e cantare le parole dell’addio.

“Taila?” Era Den, suo fratello minore. Le mise le mani sulle spalle e la strinse affettuosamente attraverso i molti strati di pelle e pelliccia. “Alzati, dai. Ti stai congelando.”

“Congeleremo tutti prima dell’alba” rispose lei con voce piatta, ma si alzò.

I sopravvissuti del clan la guardavano pallidi e muti, stremati dalla lunga marcia, in attesa della sua decisione. Molti avevano la pelle esposta del viso e delle mani bruciata dal gelo. La barba di Den era incrostata di ghiaccio.

“Il piccolo di Lianna non ce l’ha fatta” la informò Mala laconica. La sua sacca pendeva vuota dalle spalle. Non potevano permettersi di portare pesi inutili, in quelle circostanze.

Taila respirò a fondo. Non poteva lasciarsi andare: doveva guidarli e confortarli fino alla fine.

Senza parlare per timore che la voce la tradisse, ordinò con un cenno di rimettersi in cammino.

Lasciarono il riparo delle rocce e si avviarono a mezza costa lungo il versante toccato dall’ultimo sole. Stavano camminando allo scoperto, pienamente visibili a un arciere. Taila lo sapeva, ma cos’altro avrebbero potuto fare? Erano destinati comunque a morire di freddo e di fame. Il lontano bagliore di un fuoco acceso li attirava come insetti verso la fiamma.

E come insetti siamo destinati a bruciare, pensò Taila. Era troppo stanca per avere paura. Continuò ad aprirsi la strada a fatica nella neve fresca, affondando fino alla vita. Più volte fu costretta a tornare indietro per aiutare uno dei bambini o la vecchia Mala.

La luce invitante del fuoco crebbe man mano che si avvicinavano. Taila aggirò un enorme masso e si trovò di fronte due uomini armati di lancia.

“Fermi!” gridò ai suoi, che sopraggiungevano alle sue spalle. Rimase immobile, respirando appena, con due punte di selce puntate alla gola.

“Cosa cercate qui?” chiese una delle sentinelle. Erano entrambi uomini muscolosi. Sembravano sani e ben nutriti. Al confronto, i guerrieri del seguito di Taila parevano mummie appena riemerse dal ghiaccio.

“Cibo e riparo” rispose lei. “Non vogliamo farvi del male.”

L’uomo rise. “Non potreste farcene neanche se voleste.”

Il suo compagno la spinse indietro con l’asta della lancia. “Via, sparite! Abbiamo già i nostri bambini e i nostri vecchi da sfamare.”

Taila non si mosse. “Non abbiamo nessun altro posto dove andare. La nostra base invernale è stata sepolta da una valanga, metà del clan è rimasto sotto la neve…”

“E allora? Non posso farci niente. O mi stai chiedendo di mettere fine alle vostre sofferenze qui e ora?”

“Cosa sta succedendo?”

Da dietro il masso era apparsa una giovane donna dai capelli rossi. Indossava una pelliccia bianca, proveniente da un animale ignoto, ma a colpire Taila fu il suo bastone: rosso d’ocra, con il pomello intagliato. Un bastone del comando. Ecco la capotribù.

La donna la osservò con curiosità. “Cosa vogliono questi straccioni?”

“Accoglienza” spiegò la sentinella che li aveva fermati.

“Eh? Ma sentili! Senza offrirci niente in cambio?”

“Non abbiamo più nulla a parte i nostri vestiti, e anche quelli sono ridotti male” disse Taila. “Ma siamo buoni cacciatori, Nala conosce le erbe e il giovane Valdir promette di diventare un ottimo scheggiatore. Potremmo esservi utili.”

L’altra soppesò con uno sguardo i miseri resti del Clan del Corvo, che aspettavano tremando di freddo. “Troppi bambini.”

“Non sono mai abbastanza.”

“Vanno sfamati, accuditi, addestrati. Ci vorranno anni prima che possano valere qualcosa.”

“Parli sul serio? Un discorso così superficiale me lo aspettavo soltanto da un uomo.”

La donna si lasciò sfuggire un sorriso. D’un tratto allungò la mano e le strappò via il mantello. La esaminò dalla testa ai piedi con sguardo esperto, soffermandosi sul seno e sui fianchi. Taila la lasciò fare senza abbassare gli occhi.

“Hai un bambino piccolo” constatò la capotribù.

“Lo avevo.” Taila sostenne lo sguardo dell’altra, sforzandosi di non tremare al vento gelido.

Con un ultimo brillio, il sole scomparve dietro le montagne. La vallata si riempì di ombre.

La donna dai capelli rossi rimase in silenzio per un po’, spostando lo sguardo dall’uno all’altro dei nuovi arrivati. Poi voltò loro le spalle e rivolse un cenno secco ai suoi uomini. “Carne, pellicce calde, un giaciglio asciutto. Avanti, muoversi!”

“Ma capo, perché?”

“Questa è una notte speciale. Abbiamo ospiti, no?”

Taila non osava credere alle sue orecchie. Seguì i due guerrieri con le gambe rigide, senza sapere cosa aspettarsi.

Poco dopo si ritrovò seduta accanto al fuoco, avvolta nelle pellicce, con lo stomaco pieno come non lo era da giorni. Le guance le pizzicavano per il calore. La vecchia Nala russava col mento sul petto, sorda alle grida gioiose dei bambini che si rincorrevano tra le tende.

Loro dimenticano presto, pensò Taila. Noi adulti non abbiamo la stessa fortuna.

Ma non era il momento di pensarci. Appoggiò la schiena al palo di una tenda e rimase a contemplare il cielo invernale che luccicava di stelle. La distesa ondulata di neve intatta splendeva azzurra sotto la luna piena.

Una notte speciale… sì, è davvero speciale, pensò ancora. D’ora in poi, ogni anno, in una notte d’inverno festeggeremo la rinascita del Clan del Corvo. Mangeremo, balleremo e ci scambieremo doni. E dovremo accogliere chiunque si presenterà da noi affamato e bisognoso, sempre.

Ci mise un po’ ad accorgersi che stava sorridendo. Non ricordava quasi più come si faceva.

Chiuse gli occhi e si abbandonò a un sonno profondo, finalmente in pace.

Autore

  • Giorgia Cappelletti

    Archeologa di formazione, scrittrice per hobby. Fino ad oggi ho scavato, lavorato in un museo, diretto laboratori per bambini, prodotto libretti divulgativi, insegnato greco e latino, scritto brani ed esercizi per le antologie scolastiche, e probabilmente qualcos'altro che ora mi sfugge. Guardo molti anime e vorrei vivere nel castello errante di Howl (ma senza di lui).

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2 Commenti

  1. Gianfranco

    Ottimo. Lontano da credenze giovanili assimilate senza pre-giudizi con l’ignoranza dell’età, ecco un racconto umano (perché no femminile ?, più sensibile : ben detto “discordo …. da un uomo”). Probabilmente se la parte femminile del genere (?) bipede (non mi piace dire homo é selettivo e diminuisce 2 per 1) avesse tenuto in mano le sorti del clan durante tutto lo sviluppo storico, sono sicuro che non saremmo ridotti a leggere la storia con i risultati che ben conosciamo : guerre, guerre, guerre !
    Grazie Giorgia Cappelletti, anche se é un’invenzione penso che corrisponda all’epoca pre-istorica.

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  2. Gianfranco

    oups, battitura infelice “discorso ….da un uomo”
    chiedo scusa

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