Tempio di Giove Capitolino: tutti i decori in mostra

1 Marzo 2016
Era il tempio più importante della romanità ma finora non sapevamo neppure come fosse decorato. Ora però sul Campidoglio sono stati trovati un migliaio di terrecotte architettoniche e frammenti di sculture fittili, che hanno consentito di ricostruirne tutta la decorazione. Una scoperta sensazionale che, a poca distanza dalla chiusura dello scavo, è già in mostra
Si sale all’ingresso della mostra Campidoglio. Mito, memoria, archeologia e non si sa che fare: cominciare dall’inizio, dal visionario dipinto di William Turner Modern Rome – Campo Vaccino (1839) giunto dal Museo Getty di Malibu in cambio dello Spinario, oppure andare dritto alla fine, alla sensazionale scoperta delle terrecotte architettoniche del tempio di Giove Capitolino? Certo, il Turner è strabiliante e non si finirebbe mai di ammirarlo: è un sogno a occhi aperti, dove il Foro è visto dall’alto del Campidoglio in una tenue luce da fiaba inquietante, un misto tra reverenza e mito. E si continua a sognare con le altre opere coeve che lo circondano, ed è forte il contrasto con le incisioni di Giovan Battista Piranesi che ritraggono un’antichità lontana però imponente e studiata in ogni particolare. Il mito non è mai univoco: ognuno lo vive come gli va.

Tempio di Giove Capitolino: dalla ristrutturazione dell’ex ospedale teutonico alle terrecotte architettoniche

Poi però si vuole passare alla realtà, anzi all’attualità: si stavano ristrutturando le fondazioni dell’ex Ospedale Teutonico sul Campidoglio, e si è trovata una grande fondazione in calcestruzzo di I secolo a.C. L’Ospedale è costruito dove un tempo stava la spianata del grandioso tempio di Giove Ottimo Massimo dedicato alla Triade Capitolina, in pratica l’essenza della romanità. Il tempio dove i consoli offrivano i loro primi sacrifici pubblici, dove il senato si riuniva in assemblea solenne e dove terminavano i cortei trionfali: il tempio replicato in tutte le città che Roma ha fondato nel mondo. La fondazione, chissà, sosteneva uno dei numerosissimi tempietti, altari, portici, statue, archi onorari, trofei eretti sulla spianata: è difficile, forse impossibile capire a cosa appartenesse. Si era però sovrapposta a uno scarico, gettato tra III e II secolo a.C. per rialzare il piano di calpestio della piazza, da cui sono stati recuperati più di mille frammenti di decori architettonici del tempio in terracotta dipinta. Una meraviglia, la scoperta del secolo se pensiamo che finora non sapevamo con esattezza come fossero fatti né il tempio né i suoi decori.

Terminato lo scavo nel 2014, ora è tutto già in mostra: ci sono le terrecotte del primo tempio del VI secolo a.C., quello iniziato dai re Tarquini e inaugurato nel 509 a.C., primo anno dell’era repubblicana, e poi altre terrecotte di IV e di III secolo a.C. Col tempo infatti i decori si rovinavano, e periodicamente si sostituivano. Poiché però erano consacrati, dovevano rimanere nell’area sacra, e così si utilizzarono nella piazza del tempio. I decori di VI secolo sono i più belli e raffinati, quelli fatti con l’argilla più depurata e dai colori più vivi. Sono così tanti, che hanno consentito di ricostruire tutto l’apparato decorativo: tutti i motivi astratti e persino qualche immagine figurata, a partire dalla consueta immagine della Potnia Theron, la Signora delle fiere.

Tempio di Giove Capitolino

Frammento di antefissa a figura intera, Pótnia Theròn terracotta dipinta, Musei Capitolini

La strana sorte del Tempio di Giove Capitolino

Come non ricordare, dunque, la strana sorte di questo tempio, depredato al punto che se ne perse memoria? Sulle sue rovine si portavano addirittura a pascolare le capre, e il monte fu rinominato Caprino. Solo nel 1823 cominciarono a venire alla luce le sue fondazioni colossali, quelle che ora si ammirano a lato della grande esedra dei Musei Capitolini. Ma a quel tempo buona parte dell’altura del Capitolium vero e proprio, cioè il pianoro alle spalle del Palazzo dei Conservatori (che l’avvallamento dell’attuale piazza michelangiolesca separa dall’Arx dov’è oggi la chiesa di Aracoeli), era di proprietà prussiana e ne ospitava l’ambasciata. Lungo fu il contenzioso tra Comune e Prussiani per sottrarre allo straniero il luogo simbolo della romanità e dell’Italia tutta. Il popolo di Roma protestò quando nel 1875 fu trovato un gigantesco frammento di rocchio di colonna del tempio, in marmo pentelico, proprio sul confine tra le due proprietà. E quando lo straniero abbandonò il colle finalmente, con la fine della Prima guerra mondiale, prima il popolo prese d’assalto il palazzo Caffarelli sede dell’ambasciata, e poi l’impeto nazionalista portò addirittura alla sua parziale demolizione.

Così proseguirono con più vigore gli scavi sistematici per portare alla luce il tempio, e negli anni a venire le demolizioni fasciste “liberarono” il colle da tutto quel che non era monumentale mettendo a nudo la rupe Tarpea, e scoprendo al contempo antichi sacelli, depositi votivi, ninfei, abitazioni, botteghe. Si fecero anche progetti faraonici per trasferire tutti gli uffici comunali sul colle, e a un certo punto persino il Parlamento intero: progetto naufragato per insufficiente viabilità. La mostra racconta tutte queste storie: partendo dal Campidoglio come mito ottocentesco, ne ripercorre poi la storia moderna con un ricchissimo apparato di documenti, disegni, incisioni, dipinti, fotografie, plastici, frutto di ricerche d’archivio recentissime. È un autentico scrigno di notizie e scoperte, una sorpresa continua che sarebbe stata ancor più godibile se presentata con maggiore enfasi e chiarezza. Ma colpisce comunque. E prepara degnamente al gran finale sui decori del tempio, che conta di mettere la parola fine all’annoso dibattito su dimensioni e struttura del grande edificio: a chi ha dubitato che il tempio fosse colossale, ora si mostrano antefisse, coppi e tegole colossali che si potevano adattare solo a una costruzione veramente  fuori misura.

Campidoglio. Mito, memoria, archeologia
A cura di Alberto Danti e Claudio Parisi Presicce
Roma, Musei Capitolini
fino al 19 giugno 2016
info www.museicapitolini.org

In copertina: William Turner, Modern Rome. Campo vaccino, 1839. J. Paul Getty Museum, Los Angeles

Autore

  • Cinzia Dal Maso

    ​Tre passioni: il mondo antico, la scrittura, i viaggi. La curiosità e l’attrazione per ciò che è diverso perché lontano nello spazio, nel tempo o nel pensiero. La voglia di condividere con tanti le belle scoperte quotidiane. Condividerle attraverso la scrittura. Un solo mestiere possibile: la giornalista che racconta il passato del mondo. Scrive su temi di archeologia, comunicazione dei beni culturali, uso contemporaneo del passato, turismo culturale per i quotidiani La Repubblica e Il Sole 24 ore, e per diverse riviste italiane e straniere. Dirige il Magazine e il Journal di Archeostorie.

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