Ma La Reggia di Caserta è a misura di visitatore?

8 Ottobre 2017
Cronaca di una vista alla Reggia di Caserta, tra informazioni carenti e personale inconcludente: una vera e propria ‘caccia al tesoro’

Ho visitato per la prima volta la Reggia di Caserta un paio di settimane fa. Non volevo scrivere nulla ma le molte polemiche dei giorni scorsi mi hanno spinto a dire la mia. A raccontare la mia ‘caccia al tesoro’, perché “un visitatore qui da noi le cose se le deve conquistare” come mi ha detto sconsolata una funzionaria della Reggia. Proprio così, conquistare: perché dove sono le cose da visitare, nessuno mai te lo dirà.

Il direttore Mauro Felicori è stato accusato di trascurare Reggia e parco, per di più sovraffollandoli nelle domeniche di gratuità. Però la Reggia è immensa e non basta la volontà di un direttore a tenerla in piedi tutta, e invero le sale visitabili non sono poi così male. Il parco è decisamente più trascurato con intere sezioni, come la parte della Castelluccia, che paiono proprio abbandonate.

Ma l’impressione di un visitatore è che Reggia e parco non vedano manutenzione vera da chissà quanto, e che serva oramai un importante restauro straordinario prima di poter tornare all’ordinario. Ora i fondi per i restauri dovrebbero esserci, e quindi sarebbe saggio non gridare subito ‘al lupo al lupo’ ma aspettare e giudicare poi come saranno stati impiegati. Mentre inguardabile è la grande piazza di fronte alla Reggia: una vergogna! Ma di quella è responsabile il Comune, no?

Dove andare alla Reggia di Caserta?

Tuttavia ciò che colpisce subito il visitatore, alla Reggia, è ben altro: la totale mancanza di informazioni d’orientamento. Premetto che non avevo previsto di visitare la Reggia, è stata una decisione dell’ultimo minuto, e dunque non avevo con me informazioni di sorta. Ma, dicevo tra me, troverò tutto là. No. Proprio no. Là non c’è nulla. O meglio: in ogni stanza della Reggia, come a ogni fontana del giardino, ci sono i pannelli Mirabilia che, come ben sappiamo, descrivono asetticamente la rava e la fava di quel luogo. Ma prima dei ‘particolari’ il visitatore vuole i ‘generali’, e soprattutto si vuole orientare.

Servono mappe in un luogo così grande e complesso, tante belle mappe con la buona vecchia freccia ‘voi siete qui’ e indicazioni per raggiungere ogni altro luogo interessante. Mappe che consentano al visitatore di organizzarsi e scegliere. Mappe, mappe e solo mappe. E non ci sono.

Arrivo in biglietteria nel primo pomeriggio. Un cartello sbiadito avvisa sugli orari di chiusura dei vari luoghi. Orari scritti ovviamente alla rinfusa, così che mi devo fare una sorta di ordine mentale e dire: prima vado qui e poi qui e poi qui, in modo da lasciare per ultimo quel che chiude dopo.

Prima a chiudere è la sezione Terrae Motus che io voglio assolutamente vedere. Raccoglie le opere che il gallerista Lucio Amelio fece realizzare a 65 artisti all’indomani del terremoto del 1980, e che lui stesso donò nel 1993 alla Reggia di Caserta. Era stata chiusa al pubblico per molto tempo e riaperta circa un anno fa. Ma dove? Il chiosco informazioni è deserto, chiedo al bar, poi a un custode, poi a un altro, e nulla: “ma è chiusa!” mi dicono, “ma no!” dico io, ma oltre non si va.

Chiedo del bookshop, perché pure quello è difficile a trovare. Beh, è accanto all’uscita, ovvio. Che bello! “Qui troverò di tutto”, mi dico: informazioni, guide. Compro subito la piccola guida nuova di zecca, voluta dal nuovo direttore. Esteticamente carina con belle foto. Punto. C’è una mappa, sì, finalmente ce l’ho, ma sarebbe una mappa quella? Una mappa utile, intendo? Certo che no! E Terrae Motus in quell’aborto di mappa neppure c’è. Per non parlare dei testi: brevi, certo, ma così asettici che paiono scritti trent’anni fa, non nel 2017. Direttore siamo nel duemila: la comunicazione si fa in altro modo e tu lo sai. Perché non lo fai?

Giardini

Comunque al bookshop scopro finalmente dov’è Terrae Motus e capisco che coi tempi non ci sto e devo scegliere: o lei o il Giardino inglese. Si trovano agli antipodi. Scelgo il giardino. E per raggiungerlo mi godo quei tre chilometri e passa in salita e poi altrettanti in discesa, che sono tra le passeggiate più belle che un essere umano possa fare. La Via d’acqua di Caserta non si può descrivere, va vissuta, assaporata passo a passo.

Mentre il Giardino inglese è tenuto piuttosto male, bisogna dirlo. Vegetazione incolta, alberi caduti e lasciati sul sentiero, edifici fatiscenti. Ma è pur sempre una favola, la favola delle rovine. Un signore mi ferma e mi chiede: “tutto ciò è autentico o no?”. “No, sono rovine finte”: il prodotto di una fantasia romantica così raffinata che ci affascina ancora.

Però quel signore non avrebbe dovuto fare la domanda, e soprattutto né lui né io ci saremmo dovuti perdere nel giardino. Una mappa c’è, a onor del vero, però solo all’ingresso: ho provato a memorizzarla per bene prima di inoltrarmi nel verde, ma poi la realtà non corrispondeva ai miei ricordi. C’era qualche freccia ma in collocazioni inutili. Insomma anche qui l’informazione non funziona.

Terrae Motus: eureka!

Il bello, però, deve ancora venire! Giungo alla Reggia che è già tardi ma tanto quel giorno rimane aperta fino a tarda sera, essendo le Giornate europee del patrimonio. Io conto, spero che assieme agli appartamenti venga aperta anche Terrae Motus, ma chiedo e nessuno mi sa dire nulla. La maggior parte dei custodi propende per il no, perché il giorno prima era rimasta chiusa. Mi rassegno e vago fra i saloni.

Ma no, non mi voglio rassegnare: prima di uscire faccio un ultimo tentativo e, udite udite, l’ultima custode mi dice che sì, la apriranno, basta solo attendere un po’. Mi dice anche dove andare. Miracolo! Vado, corro.

Di fronte alla porta d’ingresso di Terrae Motus, chiusa e senza indicazione alcuna, c’è un’altra custode. Dice che sì apriranno, ma forse no, e che comunque quella è l’uscita e io per entrare devo andare “dall’altra parte”. “Ma quale altra parte?” “Di là”. “Dove di là? Mah”. Finalmente un’apparizione: una funzionaria con le chiavi del portone. Ebbene sì l’ingresso era lì, ingresso e uscita assieme. L’altra parte cosa fosse non si sa.

La gentile funzionaria non solo apre la porta, ma dà anche spiegazioni a chi arriva, e poi invita tutti a seguirla nel salone dove aveva organizzato una presentazione del quadro di Nicola Palizzi sul terremoto di Melfi del 1851. Ha parlato del terremoto ottocentesco, di quello del 1980 e di quello ischitano di un mese prima, ragionando sui vari modi di rappresentarli. Un’idea bellissima, interessantissima, riservata solo ai pochi che passavano per caso di là. Nessuno alla Reggia ne sapeva nulla. Ma cosa serve organizzare incontri, se poi nessuno lo sa e quasi nessuno ci va?

Caro Mauro Felicori, tu di comunicazione e marketing te ne intendi. È mai possibile che non ti sia venuto in mente di collocare un po’ di mappe alla Reggia e nei giardini? Non ti sei messo mai nei panni del visitatore, cercando di capire cosa esattamente gli potesse servire? E quella guidina bella e nuova, la potevi far fare un po’ meglio, no? Parlo di cose di poco conto e spesa, possibile che non siano ancora state fatte? Poche cose, ma utili. Perché chi arriva si senta benvoluto, accolto, seguito. E non si trovi costretto a un’improbabile, affannosa e surreale caccia al tesoro.

Autore

  • Cinzia Dal Maso

    ​Tre passioni: il mondo antico, la scrittura, i viaggi. La curiosità e l’attrazione per ciò che è diverso perché lontano nello spazio, nel tempo o nel pensiero. La voglia di condividere con tanti le belle scoperte quotidiane. Condividerle attraverso la scrittura. Un solo mestiere possibile: la giornalista che racconta il passato del mondo. Scrive su temi di archeologia, comunicazione dei beni culturali, uso contemporaneo del passato, turismo culturale per i quotidiani La Repubblica e Il Sole 24 ore, e per diverse riviste italiane e straniere. Dirige il Magazine e il Journal di Archeostorie.

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