Il cibo delle donne

16 Marzo 2017
​Donne che si fanno nutrimento per il proprio figlio, o a cui è vietato mangiare liberamente. Che del cibo si servono per modificare relazioni e scrivono libri di ricette. La storica Maria Giuseppina Muzzarelli esplora il complesso rapporto tra donne e cibo dall’antichità ai giorni nostri
​Negli ultimi anni è scoppiata una vera e propria ‘foodmania’. Di cibo si parla ovunque e a tutte le ore: in televisione, sui giornali, sui social media, per non parlare dei libri “di ricette o di ricordi legati a ricette” che affollano sempre più gli scaffali delle librerie. Di contro però – nonostante una maggiore e quasi ossessiva attenzione nei confronti del cibo e della sana e corretta alimentazione, e dunque un invito al piacere della tavola e al consumo – sono sempre più diffuse, soprattutto tra le giovanissime, le patologie legate al rifiuto o al desiderio compulsivo di cibo, cioè l’anoressia e la bulimia. Così anche la parità a tavola, faticosamente raggiunta dalle donne dopo secoli di privazioni e restrizioni, sembra oggi minacciata dall’affermarsi di modelli estetici che esigono magrezza ed estrema moderazione nel mangiare, al limite del digiuno totale.

Quello delle donne con il cibo è un rapporto tutt’altro che scontato e di facile lettura, trasformatosi nel corso delle epoche e fortemente condizionato dalla storia al punto che, scrive Maria Giuseppina Muzzarelli, autrice per la Laterza del saggio Nelle mani delle donne. Nutrire, guarire, avvelenare dal Medioevo ad oggi, esso è “frutto di una costruzione culturale”. Ed è proprio la volontà di indagare questo rapporto, procedendo a ritroso nel tempo e individuandone evoluzioni e alterazioni, il filo conduttore del libro.Per secoli la cucina è stato l’unico luogo della casa in cui la donna avesse piena libertà di azione. Ma anche il luogo in cui poteva, indisturbata, manipolare ad arte gli alimenti per farne nutrimento, certo, però anche strumenti con cui risanare relazioni, rinfocolare gli animi o persino uccidere. È anche attraverso il cibo che le donne sono pervenute a una definizione dell’identità di genere, sebbene in molti casi come esito di condizionamenti maschili più che di scelte naturali.

Lo scopo dell’indagine di Muzzarelli – condotta anche con l’ausilio di fonti eterogenee come i dipinti (alcuni raccolti nell’appendice iconografica), le opere letterarie, i trattati giudiziari – è dunque quello di

“raccontare, soprattutto a quante giovani donne impegnate in diversi ambiti lavorativi amano cucinare e lo fanno con maestria, mangiano di gusto e non si pongono, progettando una maternità, il problema dell’allattamento, come sono andate le cose fino a non molto tempo fa. Questo perché sappiano preservare quello che è stato faticosamente conquistato, anche se non sempre ne sono consapevoli, e recuperare quello che, più a loro che alle donne della mia generazione, pare di aver perduto. Soprattutto perché abbiamo materia su cui riflettere a proposito di quanto è naturale e quanto invece socialmente costruito (dagli uomini ma anche dalle donne)”.

Sono quattro, in particolare, i temi su cui l’autrice si sofferma nella sua analisi diacronica del rapporto tra donne e cibo. Si comincia con il più naturale dei legami: la donna che si fa cibo per il proprio figlio. Eppure quella dell’allattamento è stata una funzione a lungo delegata, dal Medioevo sino agli inizi del Novecento. La motivazione alla base dell’affidamento dei bambini alle balie non era solo l’opportunità di non affezionarsi troppo a neonati dal destino incerto. Questo è uno di quei casi in cui il condizionamento maschile ha predominato sulla volontà femminile, alterando la naturalità del rapporto madre-figlio: erano infatti gli uomini a imporre alle mogli il baliatico e a dettare le regole dello stesso. Verso questo tipo di scelta orientava il timore di perdere la disponibilità del corpo delle donne e dunque arrestare la procreazione, ragioni evidentemente più forti della necessità di costruire un legame affettivo e salvaguardare la salute del bambino. In parte, già a partire dal Trecento, è stata la Chiesa a scardinare questo meccanismo, anche attraverso l’uso strumentale delle raffigurazioni della Vergine che allatta il proprio figlio. Ma è solo a partire dalla metà del Novecento, con la scoperta del latte artificiale, che si assiste alla scomparsa del fenomeno della balie. Oggi, paradossalmente, si è giunti alla situazione opposta in cui si invoca da più parti il ritorno all’allattamento demonizzando ogni scelta contraria alla naturalità.

E sono stati sempre gli uomini a imporre alle donne disinteresse o perlomeno misura nell’assunzione di cibo, soprattutto in pubblico. Le donne che si fossero dimostrate capaci di resistere alle lusinghe del cibo e che avessero rinunciato al vino, avrebbero offerto di sé un’immagine di decoro, compostezza, autocontrollo e in un certo qual modo si sarebbero mondate della colpa primigenia di Eva, rea di aver trascinato tutta l’umanità nel peccato per non aver saputo resistere alla tentazione di una mela. All’opposto molte furono le donne che, dai primi secoli del cristianesimo fino all’alto e pieno Medioevo, al cibo rinunciarono completamente. Tra queste, anche Santa Caterina da Siena che cominciò a digiunare sin da bambina e che arrivò a rigurgitare il cibo che non sopportava di aver ingerito. Le ragioni alla base del digiuno erano di tipo più che altro spirituali e non certo estetiche, come quelle che orientano oggi i comportamenti alimentari delle anoressiche. Tuttavia, in un caso come nell’altro c’è l’intento di affermare con forza la propria volontà, anche andando contro la famiglia e le convenzioni sociali e fino alle estreme conseguenze, come l’autolesionismo.

Era solo, dunque, nella manipolazione degli alimenti e preparazione dei cibi che le donne erano forse davvero libere, anche di servirsene per scopi non strettamente alimentari. Col cibo si miglioravano relazioni, si ravvivava la passione di mariti poco presenti, si poneva fine a legami non più sostenibili e si cercava di venir fuori dalla trappola di “matrimoni sbagliati”. Intorno alla metà del Quattrocento, Matteuccia di Francesco del Castello di Ripabianca, strega e guaritrice, venne processata e condannata al rogo perché colpevole di essere intervenuta in molte situazioni, soprattutto coniugali, modificando l’odine naturale delle cose mediante l’uso di erbe e cibi preparati. E la stessa fine toccò in sorte a molte altre avvelenatrici.

Oggi le donne, nella preparazione dei cibi come anche nella scrittura di libri di ricette o di ricordi famigliari legati al cibo, contendono il primato agli uomini. Il rischio tuttavia è che “il filtro della letteratura e l’attuale forte passione per il cibo attenuino un po’ la portata della marginalizzazione patita”, e che il compiacimento per le conquiste raggiunte impedisca alle donne di cogliere la profonda contraddizione in cui la società odierna le pone: da un lato sono invogliate a riappropriarsi del piacere di cucinare per sé e per gli altri, dall’altro vengono indotte ad aderire a canoni estetici che le vogliono perennemente magre. Non c’è forse il rischio che nuovi e altrettanto pericolosi condizionamenti possano rimettere in discussione la libertà con cui oggi le donne si relazionano nel confronti del cibo?

Il libro di Maria Giuseppina Muzzarelli, che coniuga il rigore della ricostruzione storica a una particolare attenzione nei confronti delle questioni di genere, è esso stesso uno strumento di nutrimento per le donne che amano cucinare e per quelle che ne farebbero volentieri a meno, per quelle che rifiutano i modelli estetici imperanti e per quelle che si affannano a perseguirli. Il fine ultimo del saggio è proprio quello di stimolare la riflessione a partire da una conoscenza critica del passato, perché la consapevolezza di ciò che è stato possa correttamente e liberamente orientare le scelte delle donne a tavola.

​Maria Giuseppina Muzzarelli, Nelle mani delle donne. Nutrire, guarire, avvelenare dal Medioevo ad oggi, Laterza Editore 20132, pagine 214, euro 16.

Nelle mani delle donne

Nutrire, guarire, avvelenare dal Medioevo ad oggi
Maria Giuseppina Muzzarelli
Laterza Editore 2016,
pagine 214, euro 16.

Foto

Autore

  • Giovanna Baldasarre

    Fino a qualche anno fa era un’archeologa come tante, divisa tra scavo e ricerca. Poi ha provato a unire le sue passioni: l’archeologia, i libri, la didattica. E allora è diventata un’archeologa che scrive storie, che si sporca le mani di terra assieme ai bambini, che ogni giorno s’inventa il modo per comunicare a grandi e piccoli la bellezza del nostro patrimonio.

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