Storytelling digitale: chi mi sa dire qual è il soggetto?

31 Marzo 2016
Continua il nostro racconto di 'Un viaggio inaspettato' sulle fatiche dello storytelling digitale: scoprire i misteri del soggetto è l'unico modo per uscire dalla valle...
Il mattino ci raggiunge, e ci trova carichi di aspettative. Anche lo sconcerto, che ci assale quando realizziamo che la nostra guida è partita prima dell’alba, è presto superato dal desiderio di riprendere il cammino.

Ai pochi che erano già svegli a quell’ora Indiana ha annunciato che ci avrebbe preceduto per perlustrare la strada dandoci appuntamento alle pendici del Passo delle Produzione. Lì avremmo dovuto affrontare una seconda prova, molto ma molto più ardua. Ormai, aveva spiegato, il suo compito nella Valle era esaurito. Ci aveva insegnato che cosa vuol dire procedere con cautela e soprattutto assumere un atteggiamento penitente, ed era sicuro che fossimo ormai in grado di cavarcela egregiamente da soli. Le istruzioni d’altronde erano semplicissime: procedere lungo il sentiero principale, non avventurarsi nei tanti diverticoli e infine non attardarsi lungo il percorso.

closing time, storytelling digitlale

Scoprire i misteri del soggetto è l’unico modo per uscire dalla valle…

“Attenzione alle deviazioni!” – aveva precisato più volte – “ma soprattutto alle scorciatoie! Tutte le scorciatoie della Valle, ma proprio tutte, portano verso le Paludi dei Primi Risultati. E da qui uscire è difficilissimo” – E infine, prima di girare le spalle e partire aveva aggiunto gravemente: “Neanche io potrei aiutarvi”.

Le Paludi dei Primi Risultati! Dove – si narra – ci si sente improvvisamente felici e appagati e si sprofonda lentamente nella elaborazione di programmi sempre più grandiosi a partire dall’indubbia soddisfazione di aver avuto tante buone idee …
… e si finisce inevitabilmente invischiati in progetti che se non fossero morti sarebbero ancora vivi.

Sarebbe la rovina, non raggiungeremmo mai il Passo. Ricordiamocelo, siamo alla ricerca di un’idea sostenibile: ovvero interessante e producibile allo stesso modo. Diamoci da fare allora. Nel nostro caso una idea senz’altro buona è ad esempio pensare ad una produzione piccola, con uno stile e un formato che siano alla portata delle risorse e delle energie disponibili.
La scelta del cortometraggio ad esempio, è quasi obbligata: senza scomodare nuovamente monsieur De Lapalisse (o se preferite il buon vecchio Catalano) va da sé che un progetto che si racchiude in pochi minuti risulterà sicuramente meno impegnativo rispetto a qualcosa che dura molto di più.

Ma se fosse solo questo il problema, sarebbe tutto veramente troppo, troppo facile. Da persone modeste e penitenti quali ormai siamo capiamo subito che, se da un punto di vista tecnico la produzione di un video di pochi minuti sarà più semplice di un kolossal, non è detto che lo sia da un punto di vista creativo: un cortometraggio non è infatti solo un film breve (o se volete uno spot un po’ lunghetto), ma uno stile, un formato, un linguaggio. In altre parole un tipo di prodotto con caratteristiche tutte sue. Che vanno non solo comprese ma adeguatamente valorizzate per poter ottenere un bel risultato. Certo, come tutti gli audiovisivi richiede alcuni passaggi obbligati. A elencarli, sono pochi:

  • un soggetto, ovvero un’idea narrativa e dei personaggi che lo animano;
  • una sceneggiatura, che passo dopo passo svolga il soggetto in una serie di scene;
  • uno storyboard, che le descriva visivamente.


​​Ecco allora cosa deve fare l’uomo penitente: cimentarsi per prima cosa con un soggetto. Ovvero smetterla di inseguire un’idea e metterla invece giù, nero su bianco. Trasformarla in una storia producibile. Word processor o taccuino che sia.
Ma come è fatto un soggetto di un corto di animazione? Inutile dilungarsi troppo, se volete potete trovare infinite risorse in rete o in libreria. Ecco, ad esempio, il soggetto di Closing Time [!! SPOILERS INSIDE !!]:

Interno di un museo. Orario di chiusura. Musica allegra tipo swing, bluegrass o kletzmer.

Mentre il pubblico va via, in una vetrina del museo vediamo 4 pesi da telaio, disposti ordinatamente, ovviamente immobili. Due più grandi al centro, due più piccoli ai lati. Una famiglia di pesi da telaio.
Una didascalia completa la scenografia. L’inquadratura si fissa sulla vetrina, mentre il custode arriva per il suo giro di chiusura. Controlla che tutto sia in ordine, poi spegne la luce ed esce sbattendo la porta.

La porta, sbattendo, fa cadere la didascalia. A questo punto, in un ambiente ormai praticamente buio, i pesi si animano. I ‘piccoli’ chiedono ai grandi il permesso di fare qualcosa, che ottengono dopo l’iniziale diniego.

Felici, raggiungono allora la didascalia e la raddrizzano nella posizione originaria. Presto però il gioco si trasforma in un litigio. I due ‘piccoli’ bisticciano e iniziano a mettere a soqquadro la vetrina. I genitori sono affranti, fino a quando decidono di intervenire, riportando all’ordine i ‘piccoli’. Rimettono a posto la didascalia quando all’improvviso …

Forse attratto dal rumore, il custode sta tornando! Presto, tutti al proprio posto!

Quando si riapre la porta i pesi sono appena tornati sui loro piedistalli nella vetrina. Il custode accende la luce e controlla per vedere se sia tutto a posto. Passa davanti alla vetrina, ma non vede nulla di strano. Si allontana, spegne la luce e chiude la porta.

Ovviamente sbattendola e facendo ricadere la didascalia.

E adesso?

FINE

Quello di cui abbiamo bisogno è in fondo una descrizione (sinossi la definiscono i manuali), anche breve, della nostra storia, che però contenga tre parti ben distinte:

  • una introduzione (un aggancio, hook per gli anglosassoni), in cui si presentano la situazione e i personaggi;
  • uno svolgimento in cui (rapidamente!) la situazione si evolve, fino a un punto apparentemente invalicabile;
  • uno stravolgimento (un twist), che raccogliendo introduzione e svolgimento fornisca l’effetto finale, il fulmen in clausula che dà il vero senso a tutto: alla storia, ai personaggi, alla scenografia, alla musica.

Facile vero? Unici vincoli alla creatività sono che il tutto deve essere comprensibile, divertente, e durare pochi minuti. E anche risultare semplice da produrre. Altrimenti? Ma che domande: altrimenti la nostra testa rotolerà sul pavimento!

Ora, prima di salutarci e darci appuntamento al prossimo post, pensate all’ultima volta che avete visitato un museo, o un sito archeologico, un monumento o una mostra d’arte. Pensate a qualcosa che avete già visto mille volte, che è sempre stata lì ma non ha mai attirato la vostra attenzione. Magari qualcosa di piccolo e inosservato, seminascosto nell’ultimo ripiano dell’ultima vetrina prima dell’uscita …
E provate ad immaginarvi di vederlo animarsi, accompagnato magari da una musica che ne segua i movimenti e che descriva il carattere dei personaggi …

Autore

  • Giuliano De Felice

    Archeologo, certo. A essere precisi, ricercatore universitario. Che dopo essersi sentito domandare per la millesima volta “Bello, che cosa hai scoperto oggi?”, inizia a capire alcune cose: per esempio che l’archeologia, quella vera, archeologi a parte, non la conosce nessuno; ma anche che irritarsi non vale, perché quella domanda rivela un vero desiderio di conoscenza. E allora l’archeologia prova a raccontarla: usando parole ma anche immagini, video, suoni e animazioni. Quello che oggi chiamiamo multimediale, ma che in fondo è da sempre semplicemente fantasia.

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